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Ottima iniziativa degli scouts al rione Libertà: “Per onorare don Diana, noi denunceremo i delinquenti e i corrotti”.

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Da Il Vaglio del 24 marzo 2012

L’omertà e l’ignavia coprono l’illegalità. A Benevento la situazione è gravissima.
Importanti e serie le risultanze di un interessante convegno degli scout con magistrati della Procura e associazioni per la legalità

di Carlo Panella -

E’ stata una manifestazione riuscita quella svoltasi stasera nella sala della parrocchia dell’Addolorata al Rione Libertà dal titolo “Io non tacerò”, in ricordo di Don Peppe Diana, ucciso 18 anni fa dalla camorra casalese. Il merito va agli scout dell’Agesci Gruppo 2 di Benevento che l’hanno organizzata e che vi hanno partecipato in gran numero, in divisa e di ogni età, tra tanti altri comuni cittadini, alcuni di primo piano, come il sindaco Fausto Pepe.

Riuscita perché i vari oratori che si sono succeduti, nelle varie fasi dell’incontro, hanno esposto con chiarezza quanto seria sia, oggi, la condizione della legalità nel capoluogo sannita e che favola sia diventata, ormai, la vecchia fola di “Benevento isola felice”. Riuscita, ancor più, perché questa amara verità è stata detta senza fronzoli a tanti giovani, molti minorenni, che sono stati continuamente tenuti in conto da chi parlava, in particolare dai due magistrati.

Come detto, le fasi del convegno sono state più d’una. Ve le raccontiamo di seguito, a prescindere dallo svolgimento cronologico: riassumere tre ore continuate di interventi è impresa, più che improba, impossibile.

Patrizia Rosa, magistrato della Procura di Benevento

E’ stata lei che si è rivolta più esplicitamente ai ragazzi alcuni dei quali, complice la sala troppo piccola, hanno assistito seduti a terra a tutto l’evento. La Rosa ha detto che è da un anno e mezzo al lavoro in Via De Caro; originaria del Sannio, è andata via negli anni ’90 e ha ritrovato la sua provincia profondamente cambiata. Lei ora è stata assegnata alla criminalità economica: rapine, furti, evasione fiscale e usura. Già, l’usura, la piaga plurisecolare della città di Benevento. Quella che ha creato i potenti, nei decenni, ripulitisi in seguito, grazie all’oblio e all’omertà. Ebbene, la magistrata proprio sull’omertà ha puntato il dito: in un anno ha ricevuto una sola denuncia per usura!

Da qui la sua esortazione, ai ragazzi innanzitutto ma a tutta la città, a non aver paura. A usare la forza che i cittadini hanno per denunciare. Ha detto di sapere che è difficile farlo, lei che per 7 anni ha lavorato in Calabria, in terra di ‘ndrangheta e ‘ndrine (poi è stata 7 anni ad Avellino da dove è giunta in città). Ha descritto il clima che qui ha trovato, proteso a far finta di non vedere, di non capire, per non esporsi. La Rosa ha poi chiesto alle istituzioni e alla politica di fare più incontri i materia di legalità con i giovani, con i cittadini, con i giornalisti.

Non bisogna avere una fiducia messianica nei magistrati. Essi arrivano tardi, solo per provare a reprimere, quando il danno è già stato fatto. Bisogna fare di più prima. E allora non bastano le belle parole di legalità, trasparenza, ha affermato rivolgendosi esplicitamente al sindaco. Né bisogna lasciare i giornalisti o le associazioni contro il malaffare sole a denunciare.

Patrizia Rosa, infine, ha tenuto a precisare come la competenza nella persecuzione dei reati della criminalità organizzata non sia della Procura di Benevento, ma della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e pur tuttavia lei e la Procura sannita sono pronte ad ascoltare ogni denuncia in tal senso, come primo referente di legalità sul territorio.

 Antonio Clemente, magistrato della Procura di Benevento

Il magistrato ha preferito parlare in piedi e con orgoglio ha rivendicato di essere stato scout da ragazzo. Ha quindi ringraziato i giornalisti per le denunce che fanno e che aiutano l’attività dei magistrati. Devono essere sempre di più. Ha aggiunto: “Dopo 13 anni di lavoro a Napoli, quando sono stato trasferito a Benevento, ho immaginato di dover lavorare in una situazione più tranquilla. Una previsione sbagliata. Il malaffare qui è grandissimo e notevolissimo, riguarda la concessione degli appalti, il riciclaggio, l’abuso d’ufficio. Per l’omertà e la grande diffusione dell’atteggiamento teso ‘a farsi i fatti propri’, forse è più difficile contrastarla qui che a Napoli”.

Per Clemente chi combatte per la legalità pone in essere una nuova Resistenza. I partigiani di oggi sono i giornalisti, i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri, i magistrati che hanno detto di no alla mafia e alla camorra, correndo ogni rischio per la libertà e la democrazia.

Per Antonio Clemente la situazione in città è molto critica e difficile e la si può combattere se si comprende innanzitutto che la legalità aiuta a star meglio complessivamente, serve allo sviluppo e alla migliore qualità della vita. A volte, ha aggiunto, la nostra attività è fortemente limitata dalle leggi esistenti, da quelle sulla prescrizione, ad esempio, che decorre così velocemente da rendere praticamente impuniti reati come la corruzione. C’è poi l’aggiunta delle scarse risorse a disposizione: “Siamo pochi magistrati e poche sono le forze dell’ordine in azione, in Questura solo tre agenti si occupano di reati contro la pubblica amministrazione. E le denunce non sono poche.

La battaglia è difficile ma non ci scoraggiamo di certo. Benevento non è assolutamente un’isola felice e ce la possiamo fare se tutti denunciamo di più, mirando a ottenere così un tasso di legalità più elevato, perseguendo quel principio rivoluzionario in Italia che è ‘la legge è uguale per tutti’ “.

Prima dei due magistrati hanno parlato Amleto Frosi di Libera Benevento e Gabriele Corona di Altrabenevento, associazione contro il malaffare. Entrambi hanno avuto parole molto dure nei confronti della politica e dei pubblici amministratori, anche se l’approccio alla tematica è stato differente.

 Amleto Frosi, Libera Benevento

Ha tenuto a sottolineare l’azione positiva di tre prefetti passati nominandoli: Lo Mastro, De Niro e Urbano (non ha citato invece l’ultimo ancora in carica), per la loro azione concreta a difesa della legalità, mettendo assieme banche, imprese, associazioni per creare una rete. Frosi ha aggiunto che non basta realizzare dei protocolli di legalità, occorrono risposte concrete. Non si sopporta che persone che altrove hanno combattuto la criminalità, ha scandito Frosi, vengano a Benevento e comincino a dormire.

Il tutto mentre avvengono strane compere di alberghi o affidamenti diretti a imprese casalesi nell’edilizia.

Ancor più duro verso le istituzioni locali Frosi è stato quando ha ricordato che le iniziative contro racket e usura a Benevento, negli ultimi 4 anni, sono state prese e sostenute solo dalla sua associazione.

Insomma, per usare le sue parole “Qua a Benevento si dorme troppo, questo torpore è voluto? Come mai quando c’è un fatto di cronaca eclatante non c’è un solo politico che dice la sua? Perché di criminalità organizzata qui non si parla?”.

 Gabriele Corona, Altrabenevento

Corona ha innanzitutto sottolineato come il Rione Libertà sia il suo quartiere e che con gli organizzatori del convegno aveva già parlato in precedenza, ricordando come in 24 mesi, dal 2007 al 2009, al Rione Libertà ci siano stati 26 fatti criminali per una guerra di camorra culminata con l’uccisione di Cosimo Nizza, assassinato con due colpi di pistola alla testa, a mezzogiorno, a pochi metri dalla sala del convegno. Per Corona oramai a Benevento rischiamo di passare il punto di non ritorno.

Le macchine nel quartiere continuano a bruciare. Egli ha aggiornato sul sito della sua associazione la mappa dei fatti criminali: 67 negli ultimi 100 giorni, almeno una cinquantina capaci di creare allarme sociale. Ma i reati più gravi che non compaiono sono quelli legati alla corruzione che è un danno enorme per l’Italia, ma lo è anche per la città di Benevento. “Io non tacerò è il titolo di questo convegno dedicato a don Peppe Diana e allora dico qui – ha scandito Corona – che la criminalità organizzata non è questione lontana.

In città operano 5 clan: Sparandeo, Piscopo, Nizza, Taddeo e Spina. Ciò non vuol dire che tutti quelli che portano questi cognomi sono camorristi. Saranno solo una decina”. Per Corona, però, il problema non è l’etichetta criminale. Mentre può esistere, ha ricordato, infatti, una politica senza mafia, non può esistere una mafia senza politica. E la mafia si riproduce perché mentre lo Stato, ad esempio, non ha trattato con il terrorismo, con essa invece l’ha fatto.

E accade anche nella Benevento tranquilla: ma in quanti qui hanno esercitato l’attività di denuncia? C’è una copertura politica di questa storiella della città tranquilla. Dove invece la corruzione alligna. Quindi, Corona, ha continuato a non tacere e ha messo sotto tiro il concorso per l’Amts “falsificato”, a suo dire, e quindi annullato dal Comune, che bene ha fatto, in seguito, ad annullare anche quello per i due dirigenti amministrativi. A leggere il bando quasi si intravedeva chi poteva essere il vincitore, ha rimarcato il presidente di Altrabenevento.

E’ questa la Benevento tranquilla dove ha svolto la sua attività anche quel Pasquale Lombardi artefice della P3, il cui figlio lavora per una società che vende beni giudiziari per il locale Tribunale. E di essa è presidente il figlio di Paolo Viscione, anch’egli assurto alle cronache nazionali, e nella quale società lavora anche la sorella della deputata Nunzia De Girolamo. Dicendo questo naturalmente, ha aggiunto Corona, nulla voglio dire sulla parlamentare.

Corona ha poi ricordato che grande accusatore del deputato del Pdl Alfonso Papa, finito anche in carcere per un altro scandalo di rilievo nazionale, è Marcello Fasolino lo stesso che vuole costruire la centrale Luminosa a Benevento. Ha poi esortato l’assessore comunale alla Legalità e alla Trasparenza, Mirna Campone di decidersi finalmente a far pubblicare sul sito del Comune gli atti dell’Ente stesso. Ha quindi ricordato “per par condicio” un’altra vicenda legata a un commercialista beneventano inquisito per truffa che avrebbe avuto dei rapporti economici con una società di cui era socio Umberto Del Basso De Caro, consigliere regionale del Pd. “Anche se debbo aggiungere – ha proseguito Corona – che lo stesso avvocato De Caro ha specificato che tale società non è mai entrata in funzione”.

 Gli scout

Sono stati i principali artefici e vanno lodati. Ce n’erano tanti, come detto, in sala tra ragazzi e dirigenti, in divisa e no e c’erano anche i dirigenti dell’altro sodalizio scoutistico Cngei. E non solo perché don Peppe Diana era uno di loro. E non solo perché ne hanno difeso la memoria dai vari tentativi di calunnia verso il morto, l’hanno fatto per primi e per tutti questi 18 anni. Ma anche perché hanno colmato un vuoto di informazione e di formazione grandissimo a Benevento. Lo ha detto nella presentazione Luciano Panarese e lo ha ribadito poi Remigio Di Blasio. Gli scout di Benevento hanno scelto il loro insediamento nei quartieri più difficili, Rione Libertà, Capodimonte e Pacevecchia, nei posti meno attenzionati dalle istituzioni. E che si propongono come sentinelle contro l’ingiustizia e l’illegalità.

Tra gli oratori anche un rappresentante dell’Azione cattolica della parrocchia, Marcello Mastrovito, che ha sottolineato come la professione di fede debba significare l’azione sul territorio, l’educazione dei giovani alla giustizia. Da evitare è l’illecito, dalle cose più piccole a quelle più grandi, affermando infine che non accettare la corruzione è un dovere per il cristiano.

L’incontro ha avuto inizio con la presentazione del libro di Gianni Solino “La buona terra” che ha raccontato la vicenda di don Peppe Diana e di come la sua morte avvenuta tragicamente il 19 marzo del 1994, anziché rappresentare una fine, come parve allora, ha significato un inizio. Solino, esponente di Libera, associazione contro la criminalità, ha quindi portato i vari esempi di resistenza all’illegalità.

Ha ricordato la vicenda di Jerry Maslo, un rifugiato politico sudafricano che morì nel 1989, e varie altre vicende come l’associazione dei medici di Villa Literno che fornisce 10mila prestazioni annue agli immigrati. Ha quindi sottolineato il passaggio importante che si deve fare nella lotta alla camorra: alla fase della denuncia – fondamentale -, bisogna poi aggiungere quella più concreta dell’utilizzo ai fini sociali dei beni confiscati alla camorra. Per Solino, infatti, questo è un indicatore del livello di liberazione e di riscatto di un territorio. Si è cominciato a farlo in provincia di Caserta ma c’è ancora molta strada da percorrere.

All’inizio dei lavori l’assessore Mirna Campone ha portato il saluto dell’Amministrazione, ribadendo l’importanza del fatto che il politico non solo debba essere distante dalle condanne giudiziarie, ma non debba nemmeno avere contatti con i mafiosi. Bisogna non solo essere onesti, ma anche apparirlo.

Un breve saluto è stato anche portato ai presenti dal parroco dell’Annunziata don Michele. Egli ha ricordato una serie di passi biblici nei quali Dio chiama a essere profeti, a fare da sentinella. A sua volta ha ricordato l’esempio di don Diana e le sue parole su i preti che devono parlare chiaro nelle omelie sulla criminalità organizzata, ribadendo come sia importante che la Chiesa in questa materia non perda il suo ruolo profetico.

Gli scout non hanno fatto mancare la cerimonia dell’alzabandiera. A intervistare Solino è stato Michele Martino di Libera, mentre a moderare la tavola rotonda, con i magistrati e gli esponenti delle associazioni, è stato Billy Nuzzolillo direttore del blog Sanniopress, molto critico su come l’informazione locale tratti questi argomenti. Lo ha fatto pochissimo in passato e solo di recente si intervaede un comportamento più presente e incisivo.

 

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