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Benevento tra P3, P4 e Malta. Introduzione n.1

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Benevento compare più volte nella incredibile rete di corruzione che emerge dalle indagini sulla P3, la P4 e l’”operazione Malta” . Prima di concentrarci sui fatti di casa nostra, è utile fare il punto sulle tre inchieste.

da L’Unità del 30 agosto 2011

Mills, Ruby, P3, P4: l’autunno caldo delle procure

di Claudia Fusani 

Ognuno ha la sua “Irene” nelle forme e nei modi che le latitudini consentono. L’uragano processual-giudiziario-politico italiano scatenerà il massimo della sua potenza tra settembre e ottobre, con un livello che ancora non conosce unità di misura. Non avrà solo la violenza della crisi economica e della speculazione; né solo la capacità distruttiva dello scontro interno Bossi-Maroni; nemmeno sarà accompagnato solo dal rombo sinistro delle lotte fratricide innestate da Berlusconi con l’affidamento ad Alfano della mission quasi impossible della rinascita del Pdl.

La nostra “Irene” autunnale avrà anche e, ancora una volta, soprattutto le forme e i modi delle inchieste giudiziarie. Una tempesta che, per dirla con le parole di un maggiorente del Pdl, «otterrà l’effetto di far approvare in tempi brevissimi la legge sulle intercettazioni». E se palazzo Chigi teme come la peste la pubblicazione delle intercettazioni Berlusconi-Tarantini-Lavitola raccolte dalla procura di Napoli, i vertici del Pd vivono con ansia il deposito degli atti dell’inchiesta di Monza sul sistema di affari e corruzione a Sesto San Giovanni («Penati e i suoi erano a capo di un direttorio finanziario democratico, un sistema di corruzione attivo per 15 anni» scrive il gip).

Il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche, altrimenti noto come legge bavaglio, già approvato dal Senato nel giugno 2010, sarà in aula alla Camera entro la fine di settembre per l’approvazione definitiva (salvo modifiche al testo, possibili ma non scontate). Contrariamente agli uragani naturali che originano in un solo luogo, quello processual-giudiziario-politico ha più e diverse fonti.

C’è però un occhio dell’uragano: Napoli, che sembra ormai la Milano dei primi anni novanta, capitale moralizzatrice del paese nonostante sia solo un caso se vecchi amici si ritrovino oggi a operare lì: uno – Luigi De Magistris – come sindaco, gli altri – Henry John Woodcock, Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli – a fare i pubblici ministeri. Curcio e Woodcock sono titolari dell’inchiesta cosiddetta P4 sul grumo di potere di parlamentari (Alfonso Papa), lobbisti (Luigi Bisignani) e forze dell’ordine (carabinieri e alti ufficiali della Guardia di Finanza) che «promuovevano, costituivano e prendevano parte ad un’associazione a delinquere per commettere reati contro la pubblica amministrazione, per acquisire notizie riservate e segrete in merito ad alcuni procedimenti penali e informazioni su esponenti di vertice delle istituzioni e alte cariche dello Stato per poter poi fare pressioni e ricattare».

Prima delle vacanze la procura ha ottenuto un’importante vittoria con il riconoscimento dell’accusa del vincolo associativo e ha inviato nuove richieste alla Giunta della Camera per Papa (primo deputato nella storia della Repubblica per cui è stato autorizzato l’arresto per fatti non di sangue) ed è pronta ad andare avanti nell’inchiesta svelando le centinaia di pagine secretate. Tra i testi d’accusa dell’inchiesta P4 c’è un altro deputato del Pdl, Marco Milanese, fino a giugno consigliere giuridico del superministro economico Giulio Tremonti e uomo chiave del ministero di via XX Settembre. Milanese ha tanto da dire e molto, pare, sta già raccontando ai magistrati su come vengono distribuite le nomine nei vari consigli di amministrazione delle grandi aziende partecipate dallo Stato.

Ma anche sulle cordate all’interno della Guardia di Finanza e su possibili, sospettate e temute attività di dossieraggio. Ossia quelle che Tremonti, il ministro meno amato e fino a giugno il più temuto dell’intera compagine di governo, ha denunciato per primo a maggio proprio parlando con Berlusconi: «Con me il metodo Boffo (la macchina del fango, ndr) non funziona». Il dubbio è che Milanese stia collaborando per alleggerire le sua posizione nell’altra inchiesta napoletana, quella del pm Piscitelli che ne ha chiesto l’arresto per corruzione, rivelazione di segreto e abuso. «Smentisco ogni forma di cosiddetta collaborazione – precisa il suo avvocato, Bruno La Rosa – l’onorevole Milanese ha sempre risposto e dichiarato», a prescindere, si capisce, da ogni possibile ed eventuale tornaconto.

Milanese è comunque uno che sa molto e non ci sta a fare la fine del topo sotto l’uragano. Intanto la Giunta della Camera, come spiega il deputato Federico Palomba (Idv), «ha anticipato di una settimana (6 settembre) la discussione sulla richiesta di arresto dell’onorevole Milanese». La difesa, La Rosa e il professor Franco Coppi, punta sulle demolizione del primo accusatore di Milanese, il lobbista e affarista Paolo Viscione: in Giunta sono arrivate nuove carte dal Tribunale di Benevento da cui emergerebbe in modo chiaro, dice l’avvocato La Rosa, che «Viscione ha mentito e ha saputo da altri e non da Milanese le informazioni segrete sui suoi procedimenti penali». Cosa sarà più esplosivo per le tenuta del governo: il Milanese testimone o quello che potrebbe essere arrestato? Oppure il mix di entrambe queste posizioni?

I tre pubblici ministeri napoletani hanno tra le mani anche altro di molto scomodo, l’inchiesta in cui sono indagati per estorsione l’imprenditore barese Giampaolo Tarantini (l’amico della escort D’Addario) e il giornalista Valter Lavitola. Entrambi avrebbero estorto danaro a Silvio Berlusconi (mezzo milione più 20 mila euro mensili per le spese quotidiane) in cambio del patteggiamento di Tarantini nei processi baresi, anch’essi scomodi per il premier.

L’anticipazione nell’ultimo numero di Panorama lascia intendere che sia pendente una richiesta di arresto e, quindi, una conseguente e imminente discovery di atti e di intercettazioni tra Tarantini, Lavitola e lo stesso premier: modalità e motivi delle dazioni di danaro sono state decise al telefono nella convinzione, errata, che le schede cellulari usate impedissero le intercettazioni in quanto argentine. Intercettazioni di cui è chiaro che al di là delle posizioni processuali – Berlusconi è parte lesa – Palazzo Chigi non gradisce la diffusione. L’uragano che origina da Napoli con gli sviluppi delle tre inchieste (P4, arresto di Milanese, estorsione ai danni del presidente del Consiglio) risale però la penisola.

E potrebbe assumere ben altra forza distruttiva negli uffici della procura di Roma dove si prepara il processo alla P3 e dove il pm Paolo Ielo va avanti con tre inchieste: gli appalti Enav (sono in corso gli accertamenti sulle dichiarazioni dell’imprenditore Di Lernia circa la spartizione politica degli appalti decise dalle aziende partecipate dallo Stato); il fascicolo sulla casa di Tremonti in via Campo Marzio ristrutturata da Edilars in cambio di appalti della Sogei (controllata del Tesoro); il fascicolo sulla compravendita della barca di Milanese. L’uragano punterà poi al nord, tra Milano e Monza. A Milano tra metà settembre e primi di ottobre riprenderanno i processi in cui Berlusconi è indagato e imputato.

Sarà deciso il rinvio a giudizio per Mediatrade (frode fiscale e appropriazione indebita, undici indagati tra cui Piersilvio Berlusconi); procedono in aula lo stralcio Mills (corruzione in atti giudiziari, a rischio prescrizione) e la compravendita dei diritti tv (frode fiscale). Il 23 settembre il gip Maria Grazia Domanico s’occuperà del rinvio a giudizio per Fede, Mora e Minetti in quanto «tenutari e organizzatori» del presunto «bordello di Arcore». Il 3 ottobre comincerà sul serio, nel senso che sfileranno i testimoni, il processo Ruby dove il premier è imputato per corruzione e prostituzione minorile. Non si tratta di giustizia ad orologeria. Meno che mai di giustizia eterodiretta. È che prima o poi i nodi vengono al pettine nonostante i rinvii e le leggi ad personam. E, per dirla con le parole dell’aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, titolare dell’inchiesta P3 (che sta per portare a processo tre deputati della maggioranza, Verdini, Dell’Utri e Parisi), «le inchieste giudiziarie trovano terreno fertile quando il sistema mostra delle crepe». Quando cioè la politica supera ogni limite e non è più in grado di governare.

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