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Tiriamo fuori il nostro impegno, ancora di piu’, qualunque cosa succeda

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Antimafiaduemila–  20 marzo 2010  di Lorenzo Baldo -

Milano. La quindicesima edizione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie si può racchiudere in una frase tratta della lettera di Giorgio Ambrosoli scritta a sua moglie Annalori: “Qualunque cosa succeda”.

Tre parole che riassumono l’impegno civile e morale di un uomo che affidava alla propria moglie la sua famiglia, consapevole dei rischi che correva con il proprio lavoro. L’avvocato Ambrosoli veniva ucciso dalla mafia su direttiva del banchiere Michele Sindona l’11 luglio 1979. Ai suoi funerali l’assenza delle massime autorità rispecchiava la risposta pavida e ipocrita di quella parte di Milano asservita e complice di una politica collusa con la mafia e impastata di corruzione. 31 anni dopo in piazza Duomo 150mila persone, fra le quali molti con la fascia tricolore addosso, riscattano quell’assenza. Gli altoparlanti amplificano le parole vergate con tanta consapevolezza: “Anna carissima, è il 25 febbraio 1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della BPI, atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non mi tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perchè per me è stata una occasione unica di fare qualcosa per il Paese”. Ed è la parte conclusiva di questa missiva quella che rimane come un testamento spirituale che è stato osservato con la più assoluta fedeltà: “Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto”. La gente applaude. Annalori, la moglie di Ambrosoli, è presente e dopo alcuni minuti sale sul palco. Con grande fermezza e profonda dignità legge il suo messaggio: “Noi a Milano siamo molto fortunati, abbiamo una Madonnina che in questo momento, in questa piazza, sta vegliando su tutti noi. Vorrei ringraziare quegli studenti di giurisprudenza della Bicocca e tutti quegli studenti che hanno scelto quest’anno Giorgio Ambrosoli come esempio. Vorrei condividere in questo momento la speranza in una sempre maggiore responsabilità ed impegno del rispetto dei diritti di tutti”. La signora Annalori punta fortemente sul “senso della legalità” a partire “dai piccoli gesti quotidiani per crescere consapevoli dell’importanza di essere sempre in pace con la propria coscienza facendo il proprio dovere”. Per poi concludere con un appello che viene raccolto con un lunghissimo applauso: “Vorrei condividere la certezza di fare scelte con discernimento – scandisce lentamente la moglie di Giorgio Ambrosoli – affermando con serena fermezza quei valori nei quali crediamo affinché i nostri figli, i nostri nipoti, abbiano il diritto di vivere in un Paese migliore”.

E’ la volta della lettura dei 900 nomi delle vittime di tutte le mafie: magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti, imprenditori, giornalisti, sindacalisti, esponenti politici, amministratori, ma anche tanti semplici cittadini.

Elisabetta Baldi Caponnetto, moglie del giudice Antonino Caponnetto, legge la prima cinquina con un grande senso di rispetto. Le note di una chitarra alla quale si aggiungono dei violini accompagna la lettura dei nomi. Uomini e donne appartenenti al mondo dell’associazionismo, della politica, della magistratura, delle forze dell’ordine, della letteratura, così come alcuni familiari di vittime, si alternano a ricordare questi martiri. Nelle prime file ci sono gli oltre 500 familiari di vittime di tutte le mafie giunti da tutta Italia. Ci sono anche rappresentanti di Ong provenienti da 30 paesi europei e dall’America Latina, insieme ad alcune madri di Plaza de Mayo.

Manuel Gonzalves Granada, i cui genitori sono stati uccisi durante la dittatura in Argentina, parla in rappresentanza dei familiari stranieri di vittime di mafie; insieme a lui c’è anche Ilya Politkovskiy, figlio della giornalista russa Anna Politkovskaja (uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006), che ricorda l’importanza fondamentale di una simile manifestazione in memoria delle vittime di mafia.

Lo slogan di questa quindicesima Giornata della memoria e dell’impegno organizzata da Libera e Avviso Pubblico e con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica (e con il patrocinio del comune di Milano, la Provincia di Milano e la Regione Lombardia) è “Legami di legalità, Legami di responsabilità”. Sul palco a coordinare i vari interventi c’è Simona dalla Chiesa, figlia del generale Carlo Albero dalla Chiesa. E’ lei a introdurre il saluto finale di don Luigi Ciotti.

La stanchezza segna particolarmente il volto di quest’uomo con profonde occhiaie. Ma come sempre dopo aver preso il microfono in mano una forza letteralmente sovrannaturale lo compenetra.

Rivolgendosi a un gruppetto di manifestanti troppo rumoroso don Ciotti esordisce con una richiesta di silenzio assoluto. La sua voce è ferma e chiede silenzio come rispetto verso quei nomi da poco elencati.

Il fondatore di Libera ricorda il primo coordinamento di insegnanti e presidi contro la mafia fondato a Milano nel 1982. Dopo un saluto affettuoso a Teresa Strada, scomparsa per un tumore lo scorso anno, affronta punto per punto i temi del suo intervento. Ribadisce il legame con la piazza di Potenza dove insieme ai familiari di Elisa Claps (la ragazzina di 12 anni scomparsa nel ’93 i cui resti sono stati trovati pochi giorni fa) si trovano centinaia di persone a manifestare la propria solidarietà.

Luigi insiste a spiegare che la giornata della memoria non è un evento “ma una tappa di un cammino sociale, educativo e culturale che dura 365 giorni l’anno!”. “Il modo vero di fare memoria è quello di impegnarci tutti i giorni… di più tutti, di più tutti vi prego!”.

Nel sintetizzare le due parole usate nello slogan di quest’anno Luigi tocca uno dei nervi scoperti del nostro Paese: l’uguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge. “La responsabilità è impegno. La legalità è il rispetto e la pratica delle leggi e deve essere di tutti! Le leggi devono rispettarle tutti!”. Migliaia di persone applaudono con convinzione. Il ricordo di chi è morto per la giustizia deve essere “lo stimolo a fare di più la nostra parte, a rafforzare le regole di una democrazia altrimenti fragile…”. Poi don Ciotti si rivolge nuovamente ai familiari presenti: “Vogliamo ancora una volta fare nostri quei nomi, imprimerli dentro di noi. Tutti loro che non ci sono più, vi prego di non dimenticarlo, ci affidano le loro speranze interrotte… tocca a noi camminare perchè i loro sogni, il loro impegno, la loro vita, cammini con le nostre gambe!”. “Camminiamo amici, tutti i giorni, perché la democrazia viva nel nostro Paese!”. “Noi non inseguiamo la cronaca, il nostro orizzonte è portare un nostro piccolo e umile contributo per costruire la storia, un pezzo di storia viva nei nostri territori e nelle nostre realtà…”.

“Voi familiari ci avete sempre chiesto due cose: giustizia e verità, volete conoscere la verità che è dietro la morte dei vostri cari e soprattutto chiedete giustizia. Continuiamo insieme con il coraggio di dire basta”. Poi don Ciotti ricorda il senso di smarrimento e di rassegnazione di questi ultimi tempi evidenziando che ciò che spaventa di più è “l’indifferenza, l’indurimento, l’egoismo, l’essere prigionieri di se stessi dell’Io”. “Respingiamo questa indifferenza – ribadisce con forza il fondatore di Libera – dobbiamo ribellarci all’impotenza, fare in modo che a diventare normale non sia la corruzione, l’illegalità diffusa, le furbizie, ma che a diventare normale sia nel nostro Paese l’onestà, la trasparenza e il rispetto delle leggi! Non può essere normale la corruzione, non è normale una società che ruba a se stessa!”. Luigi esorta tutti gli intervenuti a “educarci a cogliere le positività, senza distinzioni”, così che quando chiunque compia delle azioni positive “a qualunque riferimento appartenga noi dobbiamo sostenerlo, incoraggiarlo, apprezzarlo. Non venga meno il coraggio della denuncia e della parola. Ma sempre seria, attenta, rispettosa”. Ed è poi la questione della “crisi” uno dei nodi che affronta senza mezzi termini. “Questa per noi non è una crisi economica – sottolinea con forza – questa è innanzitutto una crisi della politica e dell’etica. Questa è una crisi dei diritti nel nostro Paese! Certo c’è anche una difficile situazione economica, ma non si può dietro a questa giustificare delle scorciatoie”. Il riferimento a chi ci governa è palese e la gente lo recepisce immancabilmente. “Non è possibile una concentrazione di poteri, di monopoli, di conflitti di interesse che logorano i principi costituzionali e mettono a rischio la democrazia!”. Per poi tornare ad affrontare la questione dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, l’indipendenza degli organi di garanzia e della magistratura. Dopo gli ultimi deliri di onnipotenza del presidente del Consiglio contro i magistrati, le parole di Don Ciotti diventano una sorta di riscatto per quei giudici in prima linea dileggiati da chi ha il terrore della giustizia proprio perché consapevole della propria responsabilità penale in diversi reati. In un altro Paese un simile Premier sarebbe stato da tempo cacciato a pedate. Nel nostro Paese un popolo indifferente e complice delle sue malefatte permette ancora che la sua attività politica prosegua. Don Ciotti sottolinea ugualmente il rischio per la democrazia di una giustizia “a doppio registro: forte coi deboli e accomodante coi potenti”. Per poi ricordare la giornata mondiale contro il razzismo che si svolgerà domenica. E sono anche le “semplificazioni della propaganda”, così come il suo “sistematico rovesciamento della verità” i temi che stanno a cuore a don Luigi che mette in guardia a non diventarne complici.

Il suo discorso tocca poi il tema delicato della privatizzazione dell’acqua, anche in virtù della odierna manifestazione nazionale che si svolge a Roma con la raccolta firme per un referendum abrogativo al decreto che obbliga i comuni a cedere a privati fino al 70% delle azioni degli acquedotti. “Grazie alle forze di polizia e alla magistratura e a voi che avete perso i vostri familiari.. tutti quei nomi che abbiamo letto… – in questo momento la voce di Don Ciotti si incrina – facciamo sempre tanta fatica perché sono sempre tanti… tanti… tanti che generosamente hanno speso la loro vita…”. Poi però prende ancora più vigore e va a toccare la polemica sulla scelta della data per la giornata nazionale della memoria per le vittime delle mafie. E’ di pochi giorni fa la querelle che vede schierati esponenti del Pdl contro la scelta di destinarla al 21 marzo. Ed è talmente assurda che lascia basiti. Improvvisamente folgorati sulla via di Damasco onorevoli e senatori al servizio del Premier si permettono di criticare la data del 21 marzo adducendo strumentalizzazioni nei confronti di Libera, quasi che questa manifestazione fosse uno status per don Ciotti, un privilegio che non gli si può quindi concedere. Chiacchiere da cortile. Se non fosse che si tratta di politici con stipendi d’oro pagati, in teoria, per risolvere i problemi nel nostro Paese e non per gettare fango su opere e persone che con il proprio impegno si qualificano da sole. E don Ciotti sul punto non le manda a dire. “Nessuno ci toglierà il 21 di marzo, il primo giorno di primavera! Nessuno ce lo potrà togliere perchè è nato da voi! E’ nato dal sacrificio di tante persone! E invito il mondo della politica (e anche qui non generalizzo) a chi dice che questo giorno non può identificarsi con Libera e con don Ciotti io li invito a venire una volta con noi. Guardate in faccia voi che qui rappresentate migliaia di familiari… quelle ferite nessuno potrà cancellarle! Il 21 di marzo è nato con voi!”. Per poi alzare ulteriormente il tono di voce: “E la politica ascolti i gruppi, ascolti le persone, non decida a tavolino, mai!! Mai!!”. “E’ chiaro che non possiamo lottare contro le mafie, la criminalità organizzata senza adeguate politiche sociali, senza opportunità per le persone più deboli, senza interventi economici mirati, e senza la tutela dei diritti e in primo luogo del lavoro”. Il tema del lavoro è molto sofferto e traspare da ogni sua parola: “Penso che non si può morire sul lavoro, penso che non si può morire per il lavoro o perché si è perso il lavoro. Sono stato a un funerale di un operaio padre di 3 figli che aveva perso il lavoro e che si era suicidato per la disperazione!! E allora si perda meno tempo dietro a leggi che servono a tutelare qualcuno, dobbiamo tutelare la libertà e la dignità di tutti in fretta, molto in fretta…”.

“L’amore vero è quello che costruisce la giustizia, i diritti, la dignità, la vita di tutte le persone – spiega don Luigi illustrando poi la nostra Carta: “C’è un testo fondamentale che ci insegna le regole dell’essere cittadino: la Costituzione. Dobbiamo farla nostra, farla diventare cultura e costume!”.

Dopo aver ricordato il filo che lega la giornata della memoria con la marcia della pace Perugia-Assisi che si terrà il 16 maggio di quest’anno parte un appello forte alla politica. “Continuiamo a chiedere a tutta la politica <<per piacere fatevi tutti l’esame di coscienza”>> continuiamo a chiedere a tutta la politica di tornare ad essere politica con la P maiuscola! Vicina alla storia delle persone, capace di trasformare le fatiche e le paure in speranze”. “Abbiamo bisogno di una politica che faccia a meno di darsi codici etici – grida don Ciotti – perché sa rispondere al codice più importante che è quello della propria coscienza!”. “I candidati non si misurano solo in base alle vicende giudiziarie, ma in base anche ai comportamenti e alle frequentazioni!”. L’applauso è fragoroso. “Prima di chiedere agli altri dobbiamo chiedere a noi stessi se siamo veri, coerenti e credibili. Dobbiamo costruire speranza, la speranza non è attesa passiva di un futuro migliore, la speranza è andare incontro a quel futuro, costruirlo oggi attraverso l’impegno di ciascuno di noi”. “Forza amici – conclude don Ciotti – tiriamo fuori di più la nostra voglia, il nostro impegno, la nostra passione, la nostra speranza e a tutti voi il più grande abbraccio di questa piazza!”. L’appello ad andare avanti si stempera nell’aria. Forte. Qualunque cosa succeda.

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