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E’ tempo della rivoluzione energetica

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quotidiano Liberazione intervista Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends, fustigatore delle biotecnologie e profeta dell’economia all’idrogeno.

quotidiano Liberazione 16.11.05

A Roma l’economista statunitense incontra i rappresentanti dell’Unione. Sul tavolo la crisi energentica e il riscaldamento globale. I tempi si accorciano, occorre cambiare il nostro modello di sviluppo. Subito
Rifkin: «E’ tempo di una nuova rivoluzione: quella energetica»
Sabina Morandi

Le proposte dell’Unione su energia e ambiente? Per raccoglierle e delineare un programma comune il gruppo Ambiente, infrastrutture e territorio dei partiti dell’Unione ha organizzato una giornata di studio a beneficio dei parlamentari della coalizione chiamati a confrontarsi e ad ascoltare gli esperti.
E tanto per tenere un alto profilo Patrizia Sentinelli, Paolo degli Espinosa e Giuseppe Vatinno, responsabili organizzativi dell’iniziativa, hanno invitato una vera star: Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends, fustigatore delle biotecnologie e profeta dell’economia all’idrogeno.

Ritiene che la crisi dei combustibili fossili sia già arrivata?

Il picco del petrolio, cioè il momento in cui metà delle riserve è stata bruciata e comincia l’inevitabile declino, è più vicino di quanto si pensi. L’International Energy Agency sostiene che non dobbiamo preoccuparci fino al 2037 mentre almeno dodici tra i maggiori geologi statunitensi prevedono che il picco arriverà tra il 2010 e il 2020. Personalmente non credo che dieci o quindici anni facciano molta differenza: siamo alla fine dell’era del petrolio e dobbiamo prepararci a una svolta epocale. In sostanza abbiamo bisogno di una exit strategy da un’economia imbevuta di combustibili fossili perché la cosa peggiore che possiamo fare è irrigidirci a difendere un modello energetico che non ha futuro. Così facendo la depressione generalizzata dei consumi sarà inevitabile, con la conseguente destabilizzazione sociale che questo comporta. Senza contare che, dopo il picco, due terzi del rimanente petrolio saranno in Medio Oriente, aumentando in questo modo l’instabilità della regio ne. Inoltre, se non riusciranno a governare la transizione, i paesi bruceranno di tutto senza andare troppo per il sottile, con conseguenze drammatiche sulla stabilità del clima.

L’idrogeno dunque è la soluzione?

Ai politici e agli imprenditori che mi consultano ripeto sempre che non ci sono cure miracolose. Prima di tutto l’idrogeno non è una fonte energetica ma un vettore, e questo significa che è pulito soltanto se lo si produce da fonti pulite. In secondo luogo per passare all’idrogeno sono necessari investimenti enormi sul piano delle infrastrutture e almeno 20 o 25 anni per allestire la nuova rete. C’è quindi una lunga fase di transizione durante la quale vanno intraprese molteplici iniziative. Penso ad esempio all’efficienza e al risparmio energetico. Secondo i dati forniti dalla Commissione europea, potenziando l’efficienza e contenendo gli sprechi gli europei potrebbero ridurre del 20% i consumi entro il 2020, con un risparmio di 60 miliardi di euro l’anno. In Italia, che ha standard di efficienza inferiori a quelli europei, si potrebbe arrivare al 30%. Sono numeri enormi, che rendono gli investimenti sull’efficienza competitivi rispetto ad altri progetti.

Sta pensando al nucleare?

Il nucleare a me sembra davvero fuori questione. E’ una tecnologia costosissima, legata agli interventi statali, e non ha mai risolto il problema dello smaltimento delle scorie. Per non parlare della sicurezza… Quanto al carbone non risolve certo l’altro grande problema epocale che dobbiamo affrontare, quello del cambiamento climatico, anche perché la tecnologia di sequestro delle emissioni che dovrebbe rendere il carbone pulito non è affatto sicura, ed è comunque costosissima.

Restano le rinnovabili…

Dopo avere risparmiato tutta l’energia possibile bisognerà cominciare a produrne utilizzando ogni tipo di fonte rinnovabile: sole, vento, geotermia, biomasse. Anche in questo campo l’Italia ha grandi opportunità.
Qualunque paese riesca a creare una rete diffusa di piccoli impianti solari, eolici e a biomassa, è destinato a diventare un polo d’attrazione per i capitali. Sul piano occupazionale, una politica del genere si tradurrebbe immediatamente in almeno un milione di posti di lavoro qualificati in Europa.

E’ a questo punto che dovrebbe entrare in scena l’idrogeno?

L’idrogeno consente di immagazzinare l’energia pulita ottenuta dalle rinnovabili e di arrivare al decentramento energetico. La terza rivoluzione industriale sarà caratterizzata da un modello che segue l’architettura di internet: decentralizzato, autonomo, interattivo, democratico. Una rivoluzione che si può accelerare aumentando la pressione fiscale a carico delle attività inquinanti per ricavare risorse da investire sul futuro pulito. Quando ero giovane il nostro slogan era power to the people. Lo riprenderei per l’idrogeno, soltanto in senso più letterale.

C’è chi sostiene che le rinnovabili non decollino proprio perché governi e corporation petrolifere temono di perdere il controllo sull’energia. Come può avvenire il passaggio a un sistema decentralizzato?

Certamente non sarà un passaggio indolore. Con l’idrogeno e le rinnovabili la gente potrà produrre in proprio l’energia che consuma, rimettendo in rete quella in eccesso. E’ un sistema orizzontale, essenzialmente democratico, che si basa sulla rivoluzione dell’informatica e sul modello del personal computer. Anche in questo caso ci sono conflitti, per esempio fra i monopolisti come Bill Gates e i fautori del free software, ma la rivoluzione informatica è in pieno corso. Ma è importante muoversi subito, costringere i politici a imboccare immediatamente la strada dell’efficienza energetica e a investire sulle rinnovabili attraverso una politica fiscale che renda più vantaggioso impiegare energie pulite. Personalmente ritengo che un candidato che parli ancora di carbone e di nucleare sia poco affidabile: non gli darei mai il mio voto

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