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NO all’uso strumentale di Oriana Fallaci

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Alleanza Nazionale ha presentato al Sindaco la richiesta avanzata da Azione Giovani per intitolare una strada ad Oriana Fallaci recentemente scomparsa.
Ma nella richiesta di fatto si giustificano le posizioni di netta contrapposizione all’ISLAM che hanno indotto l’Assessore Antonio Medici, a chiarire che la scrittrice merita la intestazione della stada per la sua storia di giornalista e di intellettuale scomoda, ma proprio non si possono condividere certe sue posizioni che alimentano scontri tra religioni piuttosto che convivenza tra i popoli. Di seguito:
-la proposta di AN;
- la risposta di Medici;
- la biografia di Oriana Fallaci;
- la autointervista;
- la lettera contro il Social Forum di Firenze
- la risposta del MANIFESTO,
- la provocazione alla moschea
- la sinistra e le due Fallaci

Da il Quaderno.it 21/9/2006

Benevento, Orlando: una strada per la Fallaci

Il consigliere comunale di Alleanza Nazionale, Nazzareno Orlando, ha presentato al sindaco di Benevento, Fausto Pepe, una richiesta per intitolare una strada cittadina ad Oriana Fallaci, la famosa giornailista fiorentina scomparsa sabato scorso. La proposta, presentata dal consigliere, era stata avanzata dal circolo provinciale di Azione Giovani, coordinato da Luca Ricciardi.

Ecco il testo della lettera che ieri sera è stata letta dal presidente del Consiglio comunale, Giovanni Izzo, in apertura dei lavori del consesso cittadino:

“Egregio Sig. Sindaco, le recenti vicende internazionali confermano che sembra più profilarsi, da parte di alcune frange integraliste, la volontà di operare, anche utilizzando il terrorismo, per far si che il mondo si avvii ad uno scontro di civiltà tra oriente ed occidente. L’infame aggressione nei confronti del nostro Sommo Pontefice ne è stata la concreta riprova. Il silenzio assordante dei potenti, una incontestabile conferma.
La cultura può fare molto, invece, per avvicinare i popoli, sempre che non sia faziosa o strumento nelle mani dei faziosi. Non le sembri, dunque, ne provocatoria ne in controtendenza rispetto alle premesse questa richiesta sollecitatami da Azione Giovani e, a titolo personale da me condivisa, di intitolare una strada della nostra città ad Oriana Fallaci autrice di spicco nel panorama letterario internazionale, di recente scomparsa.
La Fallaci era nota per il suo carattere capace solo di farsi o amare o odiare, senza mezze misure. Rappresentava, insomma, un personaggio scomodo, non incline a cedere a compromessi, capace di sfuggire alle appartenenze di facciata, pronta ad accusare il potere al di là e al di sopra della sua colorazione. Una di quelle persone, insomma, considerate dai più rigida ed intrattabile.
Credo che proprio per tutto ciò, una testimonianza concreta nei suoi confronti, potrebbe essere utile per la nostra comunità al fine di ricordare quanto sia importante oggi restare coerenti e quanto necessario sia operare per dimostrarlo, soprattutto, alle nuove generazioni. Sono certo che vorrà farsi interprete di questa richiesta nei confronti dell’intero consesso cittadino”.
Le parole di Orlando sono state immediatamente commentate dal primo cittadino che ha annunciato di voler portare la proposta in Giunta per una valutazione attenta: “Al di là delle posizioni legittime, Oriana Fallaci è stata una personalità illustre della cultura e del giornalismo italiano ed una protagonista del dibattito culturale sui temi del mondo contemporaneo. E questo al di là dei commenti suscitati dai suoi scritti e dalla legittima diversità delle opinioni che ognuno di noi ha maturato sulle posizioni da lei sostenute”.

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Da ASCOBEN

Intitolare una strada ad Oriana Fallaci, Medici precisa

L’assessore: “Proposta non condivisibile per le premesse su cui fonda”

(Ascoben) Benevento, 22 set 2006 – L’assessore alle Politiche del Lavoro del Comune di Benevento, Antonio Medici, in relazione alla proposta di intitolare una strada cittadina ad Oriana Fallaci, avanzata nel corso dell’ultimo Consiglio comunale, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“Il documento di Azione Giovani sottoposto dal consigliere Nazzareno Orlando all’attenzione del Consiglio Comunale e dell’Amministrazione, contenente la proposta di intitolare una via cittadina ad Oriana Fallaci è il frutto di una cultura della contrapposizione ideologico-religiosa e dell’incitamento allo scontro che bisogna accuratamente evitare di alimentare; basti osservare che il documento richiama l’intervento del Santo Padre per enfatizzarne le prime reazioni e non il successivo chiarimento e l’apertura al dialogo tanto della Santa Sede quanto del presidente dell’Iran, uno dei paesi ritenuti più estremisti e vicini al terrorismo islamico.
Nel contesto di una più ampia discussione sull’intestazione di strade e piazze a insigni intellettuali, donne ed uomini che siano esempio di libertà di pensiero, potrà ben discutersi del riconoscimento alla Fallaci, ma se questo deve essere l’esito di un documento che richiama la sua figura nel contesto dell’ipotizzato e fomentato scontro di civiltà non sono disponibile neanche ad avviare una discussione.
Ben ha fatto il Sindaco, a mio parere, a chiarire in Consiglio Comunale che altro è il riconoscimento alla figura di illustre intellettuale della Fallaci, di cui, aggiungo, possono non condividersi le posizioni pur apprezzandone il coraggio e la libertà da ogni condizionamento, altro è parlare delle tensioni e degli scontri internazionali che sono da interpretarsi come lotta tra parte ricca e parte povera del mondo abbandonata al proprio destino”.

(Ascoben – 2389)

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Da MAGACHIP

E’ morta Oriana Fallaci

Venerdì, 15 settembre 2006

Oriana Fallaci è morta a Firenze.Era affetta da un male incurabile. Per lei non sara’ allestita nessuna camera ardente. E’ quanto si apprende da alcune persone vicine alla famiglia. I funerali, sempre secondo le stesse fonti, saranno in forma strettamente privata, secondo quello che era il suo desiderio.

Da anni ormai aveva scelto di non apparire più in pubblico. Aveva deciso di essere presente solo attraverso la sua scrittura, i suoi articoli, i suoi libri. E ogni volta le sue parole provocavano un piccolo terremoto: discussioni, polemiche, consensi, violente critiche. Negli ultimi anni aveva fatto sentire la sua voce in difesa dell’Occidente contro l’avanzare dell’integralismo islamico. Quindi il suo sostegno alla guerra al terrorismo voluta dal presidente degli Stati Uniti George Bush. Ma anche articoli per difendere la “sua” Firenze da quella immigrazione clandestina che non le piaceva.

Napolitano:protagonista di vivaci battaglie culturali
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, appresa la notizia della morte di Oriana Fallaci, ha inviato ai familiari un messaggio di intensa partecipazione al loro dolore, nel quale si legge: “Scompare con Oriana Fallaci una giornalista di fama mondiale, autrice di grandi successi editoriali, appassionata protagonista di vivaci battaglie culturali, ammirevole nella strenua lotta contro il male che l’aveva colpita”.

La biografia
Nata a Firenze il 24 luglio 1929, ha iniziato giovanissima la sua carriera giornalistica. Da subito seguì la sua passione per la scrittura come inviata di guerra: per L’Europeo fu in Vietnam, poi nella guerra Indo-Pakistana, in Sud America, in Medio Oriente.

Il suo interesse per i temi internazionali l’hanno portata ad intervistare i protagonisti della politica mondiale. Tra gli altri, l’Ayatollah Ali Khomeini, Henry Kissinger, il generale Giap, Golda Meir, Yasser Arafat, re Hussein di Giordania, Indira Gandhi, Alì Bhutto, Pietro Nenni, Giulio Andreotti, Giorgio Amendola, l’arcivescovo Makarios e Alekos Panagulis.
Da questi incontri nacque uno dei suoi libri più famosi: Intervista con la storia, del 1974. E’ dell’anno dopo, 1975, Lettera ad un bambino mai nato. Un libro nato dal dramma della perdita di un bimbo.

Non è l’unico testo frutto di esperienze personali: Un uomo, del 1979, è dedicato Alekos Panagulis, eroe della lotta contro la dittatura di destra dei colonnelli in Grecia.

Gli attentati dell’11 settembre furono per lei una scossa. La Fallaci da tempo aveva deciso di vivere a Manhattan, a New York. Quegli eventi che hanno cambiato la storia recente, la portarono a scrivere lunghi articoli contro l’integralismo islamico e il terrorismo. Questi pezzi furono la base del libro La rabbia e l’orgoglio, pubblicato proprio nel 2001.

A distanza di tre anni, arrivò poi La forza della ragione. L’ultimo suo libro ha il sapore quasi di un testamento: nel 2004 pubblica, Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci.

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Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci
Corriere della Sera, supplemento del 6 agosto 2004 pp. 126, Euro 4,00

«Faremo un’intervista politica, amica mia. Lo sa?»

Forse Oriana Fallaci è ormai la sola persona al mondo in grado di raccogliere un’intervista da Oriana Fallaci. La sola persona che la scrittrice ritenga sufficientemente preparata e seria per trasmettere il suo pensiero correttamente, senza travisamenti, senza successivi imbarazzi e querele. Nasce così questa intervista, del genere delle “interviste impossibili”, ma con un distinguo fondamentale: è l’intervistato che sceglie l’intervistatore. Nell’ambito del «tutto è possibile», non solo sceglie se stessa, ma si sceglie “delle annate migliori”.

«Lei — dice Oriana Fallaci alla sua intervistatrice — appartiene al mio passato. Io appartengo al mio presente. Mischiandosi ad esso subirebbe traumi per cui non è preparata». Affida insomma un’intervista, forse l’ultima, alla Oriana Fallaci di Interviste con la Storia, con il doppio obiettivo di chiudere il ciclo e di entrare in extremis nella Storia scritta dalle persone più significative del Secondo Novecento che hanno condiviso, oltre all’epoca, il fatto di essersi lasciate intervistare da Oriana Fallaci. Anche se, dice l’intervistatrice, «questa intervista non avrà nulla in comune con quelle che facevamo ai potenti della terra».

Partendo dalla propria malattia, il tumore che l’ha colpita alle vie respiratorie e che estende ad attanagliare «l’Italia, l’Occidente, l’Europa», la scrittrice ripercorre i temi sviluppati nel suo passato più recente, che la data dell’Undici Settembre separa dai fatti che appartengono al passato più remoto.

Delle torture del carcere di Abu Graib, che evidentemente le creano qualche imbarazzo, afferma: «Volevo lasciare la mia casa di New York e restituire a Rumsfeld la mia Permanent Resident Card». La distinzione tra Destra e Sinistra non esiste più: «Un’unica squadra che combatte se stessa. La Destra laida, la Destra reazionaria ed ottusa, feudale, in Occidente non esiste più: graziadio. O esiste soltanto in Islam. È l’Islam». Rispetto ai messaggi di stima e di riconoscenza che le pervengono si stupisce: «Perbacco, io credevo che in gran maggioranza gli italiani fossero degli Alberto Sordi, e invece…».

Alla domanda «Per chi vota?» risponde: «Non mi riconosco in nessuno e non delego a nessuno l’arduo compito di rappresentarmi» «E se le offrissero un seggio […] di senatore a vita?» «Impensabile. Inconcepibile. […] [il Presidente della Repubblica] Ciampi mi preferisce Mike Bongiorno o Stefania Sandrelli».

«A Lei piaceva Berlinguer [Enrico, segretario del PCI dal 1972 al 1984], si sa» «Mi piaceva, sì» «Conosce Fassino [attuale segretario dei Democratici di Sinistra]?» «… un giovanotto lungo lungo e secco secco […] che una sua antenata sia stata a letto con Carlo Alberto?» «Ma non c’è proprio nessuno a sinistra che oggi susciti in Lei un po’ di fiducia?» «Temo di no. […] e questo senza contare gli errori e le mancanze che dall’altra parte mi scorano o addirittura m’indignano» «Ad esempio?» «… il fatto che non abbiano avuto i coglioni per imporre i funerali di Stato a Quattrocchi [ostaggio italiano trucidato apparentemente da una banda della resistenza iraqena]».

Segue una carrellata di caratterizzazioni di personaggi scelti nello schieramento di Destra. «Il che porta diritto a Berlusconi [presidente del Milan Calcio e controverso Primo Ministro]» «Io non sono mai stata una sostenitrice di Berlusconi […] ma non sarò neppure il suo Maramaldo» «Quale sarebbe secondo Lei [il suo] sbaglio principale?» «Il fatto che ritenendosi un genio […] si circondi quasi sempre di persone che non valgono un fico […] Un consigliere in gamba ce l’aveva […] era Giuliano Ferrara [direttore de «Il Foglio» e, per propria affermazione, “collaboratore della CIA”]»

«Ho conosciuto più uomini al potere di quanti ne abbia conosciuti [Berlusconi] e posso garantire e cinque casi su dieci si trattava di poveri stronzi». Oriana Fallaci salva soltanto Khomeini, Deng Xiao Ping, Golda Meir e («forse») Indira Gandhi. Mentre i veri leader della nostra epoca sono soltanto Karol Wojtyla e Bin Laden. George W. Bush «non è un’aquila», John F. Kerry [candidato alla Casa Bianca] è (anche lui) «un piccolo Carlo Alberto del Colorado».

Quanto alle organizzazioni internazionali, per l’Unione Europea si tratta di «un club voluto dagli eterni padroni di questo continente cioè dalla Francia e dalla Germania [dimentica la signora Fallaci le radici italiane dell’Europa che nascono dal Manifesto di Ventotene] … di una super nazione, di un super stato nel quale si parlano una quarantina di lingue ma conta solo il Francese, il Tedesco e l’Arabo». Quanto alle Nazioni Unite, «Che cosa ha mai fatto l’ONU, fuorché sprecare migliaia di miliardi e vivere di rendita sulle parole Pace e Umanitarismo? […] Del resto l’ONU non ha mai condannato l’antisemitismo che appesta l’Europa».

«Le capita mai di cambiare idea?» «… sul tema della giustizia sociale non la cambiai […] io non potrei mai schierarmi con la squadra di calcio che ha nome Destra»

C’è chi vede nei libri più recenti di Oriana Fallaci — che hanno ottenuto un seguito pazzesco e gloriosi risultati di vendita — un attacco all’Europa, orchestrato da una regia occulta

Può essere.

Noi, in questa intervista, vediamo il tentativo estremo di un’artista di non morire del tutto. Come Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto, autoritrattosi insieme all’Angelico in un angolo dell’affresco Storie e predicazione dell’Anticristo, o come Mozart, malato e solo, che dettò il proprio Requiem a quello che passa per essere stato il suo peggior nemico, il musicista e compositore Antonio Salieri. Ma con maggior leggerezza. La morte, dopo tutto, fa paura, ma è come il leone di Hailé Selassié, imperatore d’Etiopia: si nutriva di bistecche, ruggiva, ma la gente non la mangiava.

L’ultimo personaggio intervistato nel ciclo della Storia vissuta e testimoniata dalla giornalista Oriana Fallaci è così un simbolo dell’epoca che stiamo vivendo. L’ombra di se stesso, colpito da un male terminale, abbarbicato a ricordi eroici, ad idee contraddittorie e a giudizi che col tempo si sono trasformati in pregiudizi, è ammalato di un rancore astioso che si indovina provenire da un passato promettente, costellato di delusioni e, a lungo andare, trasformato in una vecchiaia senza speranza.

Ma con la dignità e la fierezza che provengono da un’origine libertaria, colta, sprezzante, in fondo in fondo, anarchica e, nel caso personale della scrittrice, anche così tipicamente… fiorentina.

Perché andare a prendere un poveraccio che siede sul trono dell’autorità politica perché «ha vinto la lotteria», un «povero stronzo», una «nullità» come Chirac o Schröder, quando si può scendere al bar sotto casa e ottenere lo stesso, se non miglior risultato? Anzi, perché non fare tutto da soli e raccogliere le dichiarazioni spontanee di se stessa, dalla viva voce della protagonista della propria vita?

Tanto, parola di Orana Fallaci, è lo stesso.

Milano, 07 agosto 2004

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Da IL CORRIERE DELLA SERA

Lettera aperta della scrittrice ai propri concittadini

«Fiorentini, esprimiamo il nostro sdegno»
di Oriana Fallaci

Fiorentini, abbiate dignità. Non siate inerti, non siate rassegnati, esprimete il vostro sdegno. In maniera civile. Educata, civile! Chiudete i negozi. Inclusi quelli dei generi alimentari. Tanto cinque giorni passano presto, e in cinque giorni non si muore certo di fame. Chiudete i ristoranti, i bar, i mercati. Chiudete i teatri, i cinema, le farmacie. Chiudete tutto, abbassate le saracinesche, metteteci il cartello che i coraggiosi misero nel 1922 cioè quando i fascisti di Mussolini fecero la marcia su Roma. «Chiuso per lutto». Lo stesso cartello che dovrebbe stare all’ingresso degli Uffizi, degli altri musei tenuti aperti dal Municipio, del Battistero, di Santa Maria del Fiore, di tutte le chiese, nonché sul Ponte Vecchio e sul Ponte a Santa Trinita. E non mandate i bambini a scuola. Non rivolgete la parola a coloro che come minimo vogliono imbrattare i nostri monumenti. Non guardateli nemmeno, non rispondete alle loro provocazioni. Imponetevi una specie di coprifuoco, sentitevi come vi sentivate nel 1944 cioè quando i tedeschi fecero saltare in aria i nostri ponti e via Guicciardini, via Por Santa Maria. Offrite al mondo il doloroso spettacolo di una città offesa, ferita, tradita e tuttavia orgogliosa. Orgogliosa!

Perché è possibile che quei gentiluomini e quelle gentildonne usi a imbrogliare con la parola più sputtanata del mondo, la parola Pace, non ci devastino Firenze. E’ possibile che per non perder la faccia e i privilegi di sindaco, di presidente della Regione, di deputato, di senatore, di ministro, di segretario generale, gli squallidi mecenati del Social Forum li convincano a rimangiarsi la minacciosa promessa «Non sarà una manifestazione non violenta». Cioè a non fare ciò che hanno fatto a Seattle, a Praga, a Montreal, a Nizza, a Davos, a Napoli, a Quebec City, a Göteborg, a Genova, a Barcellona. E’ possibile, sì, e augurandomi di non sbagliare aggiungo: con le dovute eccezioni, secondo me andrà così. Non oseranno spaccarli i genitali del David e del Biancone. Non oseranno romperle le braccia del Perseo di Cellini. Forse non oseranno nemmeno assaltare le banche e i consolati e le caserme. Ma non esiste solo la violenza fisica. La violenza che nutrendosi di cinismo va in cerca del morto da santificare, che per trovarlo scaglia pietre o estintori contro il carabiniere terrorizzato. La violenza che nutrendosi di cretineria imbratta le facciate degli antichi palazzi, frantuma le vetrine, saccheggia i Mac Donald, brucia le automobili. Che occupa le case e le banche e le fabbriche, che distrugge i giornali e le sedi degli avversari. Che (non avendo studiato la storia loro non lo sanno) ripete gli sconci cari ai fascisti di Mussolini e ai nazisti di Hitler. Esiste anche la violenza morale, perdio. Ed è la violenza che si manifesta con le demagogie e i ricatti, che si esprime con le minacce e le intimidazioni. La violenza che sfruttando la legge umilia la Legge, la ridicolizza. La violenza che servendosi della democrazia oltraggia la Democrazia, la dileggia. La violenza che approfittandosi della libertà uccide la Libertà. La assassina. E questa violenza Firenze la subisce in misura sfacciata. Scandalosa.

La subisce per colpa di coloro che per tenersi le poltroncine del Potere, procurarsi altrove i voti negatigli dal Popolo, le hanno imposto l’oceanico e protervo raduno detto Social Forum. Che usando anzi sprecando il denaro pubblico, il denaro dei cittadini, lo hanno piazzato in uno dei suoi monumenti: la Fortezza da Basso. Che ignorando o fingendo di ignorare il suo patrimonio artistico, la sua vulnerabilità, la sua indifendibilità, le rovesceranno addosso (così molti affermano) una moltitudine pari ad oltre la metà dei suoi trecentottantamila abitanti. Cioè duecentomila persone. Che insieme alla gente di buonafede (a mio avviso una pericolosissima buonafede ma finché non partorisce il Male la buonafede va rispettata) ha lasciato entrare i teppisti cui dobbiamo le nequizie dei precedenti Social Forum. I falsi rivoluzionari, i figli di papà, che vivendo alle spalle dei genitori o di chi li finanzia osano cianciare di povertà. Di ingiustizia. I presunti pacifisti, le false colombe, che la pace la invocano facendo la guerra e la esigono da una parte sola. Cioè dalla parte degli americani e basta. (Mai che la chiedano a Saddam Hussein o a Bin Laden. Mai che improvvisino un corteuccio per le creature assassinate o gassate dal primo e le creature massacrate dal secondo. Infatti Saddam Hussein lo rispettano, Bin Laden lo amano. Ai regimi militari e teocratici dell’Islam si inchinano, nei cosiddetti centri sociali nascondono i clandestini non di rado addestrati da Al Qaida in Iraq o in Iran o in Pakistan. E l’11 settembre erano i primi a sghignazzare «Bene, agli-americani-gli-sta-bene»).

Quando parlo di coloro che per tenersi le poltroncine del Potere e procurarsi altrove i voti negatigli dal Popolo hanno imposto questo calvario a Firenze, parlo anzitutto della sgomentevole coppia formata dall’ahimè presidente della Regione Toscana e dall’ahimè sindaco di Firenze. Due sventure uscite da ciò che chiamo l’ex Agenzia di Collocamento ovvero la Federazione Giovanile Comunista. Quel sindaco che sembra nato solo per dar dispiaceri alla città. (Basti pensare alle prepotenze degli extracomunitari cui l’ha consegnata, alla tenda dei somali eretta due anni or sono in piazza del Duomo, all’orrenda tettoia con cui vorrebbe deturpare gli Uffizi. E menomale che nei punti dove andavano i pilastri si son scoperti preziosi reperti medievali). Quel sindaco che in aprile definì il Social Forum «un’occasione da non perdere». Che in giugno tacciò di «fascisti» i comitati che vi si opponevano. Che in agosto negò l’esistenza d’un referendum col quale tre quarti dei fiorentini s’eran pronunciati contrari. E che in settembre, nel corso d’un dibattito al Rondò di Bacco, blaterò: «Ho saputo che una nota scrittrice fiorentina si dà un gran daffare perché i no-global non vengano a Firenze. Quella-signorafarebbe meglio a incontrarli, a vedere che bravi ragazzi sono». (Bravi come a Seattle, a Washington, a Praga, a Montreal, a Nizza, a Davos, a Göteborg, a Genova, a Barcellona, illustrissimo? Bravi come quel «disubbidiente» che ha promesso non-sarà-una-manifestazione-non-violenta? E a proposito: mi si racconta che sia pure obtorto collo Lei stia esaminando la richiesta dei fiorentini cui piacerebbe dare alla Fallaci un premio che da mezzo secolo viene attribuito solo ai comunisti russi o cinesi o cubani eccetera. Insomma il Fiorino d’Oro. Non si azzardi a darmelo, eh? Se si azzarda, glielo ficco in gola). Quel presidente della Regione che non ne imbrocca mai una, che è il più insignificante individuo mai apparso in Toscana, e che tuttavia si crede il granduca Ferdinando III o Leopoldo II. Come un granduca si dà un mucchio di arie, frequenta le cene della defunta aristocrazia. (Un’aristocrazia che nel 1938 ricevette Hitler con tutti gli onori, che al Teatro Comunale lo applaudì fino a spellarsi le mani). Quel presidente della Regione che lo scorso ottobre disse: «Il Social Forum è un’esigenza costituzionale». Poi annunciò che sarebbe sfilato col corteo a cui la pace interessa da una parte sola, e dichiarò che «era disposto a vedermi». (Disposto-a-vedermi, giovanotto?!? Toccava a me dire se fossi disposta a vederla. E come le feci rispondere, non lo ero affatto).

Parlo anche dei loro complici a destra e a sinistra. Dei loro compagni di partito, dei loro compagnons-de-route verdi o bianchi o rossi o viola o grigi, e dei loro avversari al governo. Cioè dei correi che per calcolo o per convenienza, per furbizia o per viltà, in tutti questi mesi non hanno mai mosso un dito. Che alla fine hanno aperto bocca solo per prestarsi allo scaricabarile della sgomentevole coppia, al suo codardo cercarsi un alibi, al suo pavido frignare «Tocca-al-governo-garantire-la-sicurezza. Con-la-sicurezza-noi-non-c’entriamo». Vero, Pisanu? Vero, Fassino? Vi chiamo in causa perché (è giunto il momento di spiattellarlo pubblicamente) una volta tanto l’ahimè sindaco di Firenze non si sbagliava. Quella-signorase lo dava davvero il gran daffare. Con assoluta discrezione ossia senza confidarmi con nessuno, senza appoggiarmi ai giornali, senza esibirmi alle Tv, per l’intera estate mi sono battuta per impedire che i bravi-ragazzi venissero a Firenze. L’intera estate! Disperatamente, incessantemente. E sebbene la sgomentevole coppia non l’abbia voluta vedere, voi due vi ho visto. Sebbene con la sgomentevole coppia non abbia voluto parlare, con voi due ho parlato. (Coi vostri prefetti, il prefetto di Roma e il prefetto di Firenze, pure. Più volte). E con ciascuno, quindi sia con la destra che con la sinistra, ho incominciato il discorso così: «Ascoltatemi bene. Le pugnalate nella schiena io non le tiro: combatto a viso aperto. E a viso aperto vi dico che se non fermerete questa insensatezza, io vi sputtanerò. Oh, se vi sputtanerò!». Poi vi ho ricordato che Firenze non è Porto Alegre. Che nonostante gli oltraggi inflittile ogni giorno dai figli d’Allah è la testimonianza vivente della nostra cultura. Della nostra identità. Della nostra civiltà. Vi ho spiegato che difenderla è praticamente impossibile, che le sue bellezze non stanno soltanto nei musei: a Firenze ogni statua, ogni quadro, ogni palazzo, ogni strada, ogni piazza, ogni vicolo, ogni pietra è un ostaggio. E vi ho fornito un esempio storico. Vi ho raccontato che un secolo e mezzo fa, quando centinaia e centinaia di facinorosi vennero da Livorno a Firenze per celebrarvi il loro «Forum», anch’essi furono sistemati nella Fortezza da Basso. Ma da questa si spostarono in piazza Santa Maria Novella, da piazza Santa Maria Novella in via Tornabuoni, da via Tornabuoni in piazza della Signoria cioè nel Centro Storico, dal Centro Storico in Oltrarno. In tutta la città. E per oltre un mese vi rimasero a far nefandezze, distruggere, devastare, picchiare.

Ve l’ho raccontato, sì. E con tutta la passione di cui son capace vi ho supplicato d’intervenire, d’impedire il disastro. Io che non supplico mai nessuno. Neanche il Padreterno. A Lei, Fassino, chiesi anche di sturare le orecchie dei suoi alleati o rivali. Di quello che parla con l’erre moscia, ad esempio, e di quello che sfoglia la margherita per sapere se la quercia lo ama o non lo ama. A Lei, Pisanu, chiesi anche di sturarle al cavaliere che anziché occuparsi del paese sta sempre a rodersi sui suoi processi o a far merende all’estero. Che viaggia più del Papa ed ora è a Mosca per mangiare il caviale con Putin, ora nel Texas per mangiar la bistecca con Bush, ora a Ryad per bere il latte di cammella col suo socio in affari Al Walid, ora a Madrid per assistere al matrimonio della figlia di Aznar, ora a Tripoli per stringer la mano a quel farabutto di Gheddafi. Ma ne ricavai solo la promessa, pardon l’assicurazione, che il corteo a sostegno di Saddam Hussein e degli iracheni da cui Saddam Hussein riceve il cento per cento dei voti non sarebbe entrato nel centro storico. E, tre giorni fa, la notizia che non sarebbe partito dalla gloriosa Piazza dell’Indipendenza. (La piazza da cui nel 1859 i patrioti fiorentini si mossero per indurre gli Asburgo-Lorena ad andarsene via). Infatti, caro Pisanu, lo scaricabarile della sgomentevole coppia Lei lo ha trasferito al Parlamento dove in sostanza ha chiesto all’opposizione il permesso di fare il suo dovere cioè di governare. E quando l’opposizione le ha rilanciato la palla, «veda-Lei, decida-Lei», ha indossato i panni del Ponzio Pilato. S’è rivolto al Consiglio dei Ministri, gli ha chiesto di scegliere tra Gesù e Barabba. E loro hanno scelto Barabba. Hanno salvato il Forum, hanno crocifisso Gesù cioè Firenze. Quanto a Lei, Fassino, se l’è cavata sussurrando «lasciamoci-alle-spalle-ogni-recriminazione, ogni-rimprovero-reciproco, lavoriamo-insieme». In altre parole, con un cauto «Volemose bene». Volemose-bene?!? Ah…! Quanto il suo avversario mi ricorda Ponzio Pilato, tanto Lei mi ricorda i medici che stanno al capezzale di Pinocchio. «Se non è morto, è vivo. Se non è vivo, è morto». Perbacco, non c’è proprio nessuno tra voi che dica pane al pane e vino al vino? Non c’è proprio nessuno che abbia un po’ di coraggio?

Con rispetto parlando nel mucchio ci metto anche Lei, signor Presidente della Repubblica. Perché Lei non viene mai rimproverato, Eccellenza. A Lei non viene mai rivolto un briciolo di critica. Lei è come l’Islam dell’Islam-Non-Si-Tocca. Io, invece, La tocco eccome. E Le dico: mi dispiace d’averLe inviato quella letterina di congratulazioni quando ricevette il prestigioso e impegnativo incarico. Mi dispiace perché Lei mi ha proprio deluso. La telefonata che feci al Quirinale in estate, cioè quando parlai con Sua moglie, era un grido di dolore rivolto a Lei, Eccellenza. Un SOS diretto all’uomo che dovrebbe essere il babbo di tutti gli italiani, quindi anche dei fiorentini. E Lei non si degnò nemmeno di richiamarmi cioè di domandarmi per quali ragioni fossi così preoccupata anzi disperata. Glielo ha impedito l’etichetta, forse? Che diamine! Non è mica Sua Maestà il Re d’Italia, sor Ciampi! E’ un presidente al servizio dei cittadini! Per questo abbiamo licenziato la monarchia, per questo la teniamo in quel bel palazzo che apparteneva ai Savoia! O lo ha dimenticato? Bè, i Suoi predecessori non lo dimenticavano. Se avessi chiesto l’aiuto di Pertini, Pertini avrebbe fatto fuoco e fiamme. Fuoco e fiamme! Lei invece s’è limitato a un comodo «Penso-che-non-vi- sia-italiano-cui-non-prema-il-patrimonio-culturale-di-Firenz e». Tutto qui?!? Temeva forse d’offendere i bravi-ragazzi e i loro protettori (quei protettori cui deve il prestigioso e impegnativo incarico) a dire qualcosa di più anzi ad alzar la voce? E poi: non gliel’ha riferito nessuno che non si tratta solo di italiani, che gomito a gomito con gli italiani ci saranno o meglio ci sono i teppisti greci e baschi e danesi e olandesi e inglesi e francesi e ungheresi e tedeschi e bosniaci cioè gente a cui del patrimonio-artistico non importa un cavolo? Peggio, (o quasi): non glielo ha detto nessuno che per cinque giorni Firenze diventerà una città blindata, una città sotto assedio, una città che vive nella paura, una città dove i cittadini perderanno anche la libertà di camminare nelle proprie strade? Ma chi sono i suoi ciambellani, pardon i suoi consiglieri? Allora aveva ragione Sua moglie, quando al mio grido di dolore rispose: «Grazie, cara signora, grazie d’averci informato. In questo momento mio marito è chiuso in ufficio a lavorare, ma stasera a tavola gli racconto tutto. Perché vede, qui al Quirinale non si sa mai nulla».

Eh, sì, fiorentini: siamo proprio soli a difendere la nostra dignità. Soli con quei poveri carabinieri e quei poveri poliziotti che comunque vada ne usciranno maltrattati, insultati, calunniati. Quei poveri figli del popolo che a Genova vennero accusati d’aver spento-le-sigarette-sul-morto. (Vergogna!). Quei poveri cristi a cui i teppisti greci hanno promesso una-pallottola-a-testa, e che durante i cinque giorni non avranno neanche il diritto di difendersi con la rivoltella. Di sparare per ammonimento. Bè, il coraggio è anzitutto ottimismo: io continuo a voler pensare che i teppisti, pardon, i bravi-ragazzi greci eccetera quella pallottola se la terranno in tasca. Sia pure per lercia convenienza i loro protettori hanno capito che se avvenisse qualche tragedia ne pagherebbero il fio, e stanno davvero correndo ai ripari. Ma nessuno è profeta e… Comunque vada, l’offesa rimane. Il calvario rimane. La violenza morale rimane. Sicché, fiorentini, abbassatele davvero quelle saracinesche. Mettetecelo davvero il cartello «Chiuso per lutto». Esprimetelo, esprimiamolo davvero il nostro sdegno. Dico «esprimiamolo» perché a Firenze ci sarò anch’io.

Oriana Fallaci

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Da Pepubblica
Fallaci, l’ultima provocazione “Faccio saltare la moschea in Toscana”
dal nostro corrispondente ALBERTO FLORES D’ARCAIS

NEW YORK – Ce ne ha per tutti. Per Prodi e Berlusconi, liquidati come “due fottuti idioti”, per gli immigranti messicani che manifestano con le bandiere del proprio paese (”mi disgustano”), per Chavez (”mamma mia”), per Fellini, di cui non ricorda l’intervista ma che non le piace, per l’olio di oliva fatto in New Jersey. Ma il suo obiettivo principale restano gli islamici: che non sopporta in generale, perché “non credo che esista un Islam buono e uno cattivo” e più in particolare perché non vorrebbe vedere mai la moschea che dovrebbe sorgere a Colle Val d’Elsa: “È vicino casa mia, prendo l’esplosivo e la faccio saltare”.

A parlare è Oriana Fallaci, scrittrice e giornalista che negli Stati Uniti è molto conosciuta e apprezzata e che nella sua casa dell’Upper East Side di Manhattan vive gran parte dell’anno. A farla parlare, attraverso un paio di colloqui diretti, delle email e soprattutto raccontando nei dettagli la vita di chi “per due decenni è stata una delle più pungenti intervistatrici del mondo”, è il New Yorker: uno dei più prestigiosi settimanali americani di inchieste e cultura, sicuramente il più trendy, un giornale di area liberal.

L’articolo, lungo dieci pagine, è titolato The Agitator (l’agitatrice), “Oriana Fallaci indirizza la sua furia contro l’Islam”. L’autrice, Margaret Talbot – giornalista conosciuta per i suoi articoli sul magazine del New York Times e su riviste quali New Republic e Atlantic Monthly – ricorda nelle prime righe quello che un altro giornalista (Robert Scheer) disse della Fallaci dopo averla intervistata nel 1981: “Per la prima volta nella mia vita mi sono sentito dispiaciuto per gente come Khomeini, Gheddafi, lo Scià di Persia o Kissinger: tutti fatti oggetto della sua collera”.

Collera che esplode quando si parla del progetto di costruire una moschea nel senese: “Non voglio vedere questa moschea, è molto vicina alla mia casa in Toscana. Non voglio vedere un minareto di 24 metri nel paesaggio di Giotto, quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare una Bibbia. “Se sarò ancora viva andrò dai miei amici a Carrara, la città dei marmi. Lì sono tutti anarchici; con loro prendo gli esplosivi e la faccio saltare per aria”.

L’articolo è un ritratto piuttosto fedele della lunga carriera di giornalista e scrittrice della Fallaci; racconta con ammirazione i suoi incontri con i grandi del mondo e spiega così le sue posizioni attuali: “La magnifica ribelle Oriana Fallaci adesso coltiva, a quanto sembra, i pregiudizi della piccola borghesia. Si oppone all’aborto, a meno “di non essere violentata e messa incinta da un Bin Laden o da un Zarqawi”. Si oppone con forza ai matrimoni gay (”come i musulmani vorrebbero che tutti diventassimo musulmani, loro vorrebbero che tutti diventassimo omosessuali”), è sospettosa dell’immigrazione in generale. Non amo i messicani, dice invocando il modo orribile in cui venne trattata dalla polizia messicana del 1968, se hai una pistola e ti dicono di scegliere chi è peggio tra i musulmani e i messicani avrei un attimo di esitazione; poi sceglierei i musulmani perché mi hanno scassato le palle”.

I leader politici italiani non le piacciono, Prodi e Berlusconi vengono liquidati con un gergale “two fucking idiots”, quanto alle elezioni politiche non ha votato, né in Italia né per posta da New York: “Perché la gente si umilia votando? Io non ho votato. No! Perché ho una dignità. Se a un certo punto mi fossi turata il naso e avessi votato per uno di loro mi sarei sputata in faccia”.

(30 maggio 2006)

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da “il manifesto” del 07 Novembre 2002

Oriana, la signora grandi affari

Al Corsera nessuno la sopporta, ma la Fallaci è un business intoccabile
BRUNO PERINI,

Oriana Fallaci chiama, il Corriere della Sera risponde supino. O peggio, si trasforma in carta straccia dove si può vomitare di tutto e di più. Deve essere questo il destino del principale quotidiano italiano? Pare proprio di sì. Il business prima di tutto, ti spiegano con una buona dose di cinismo gli esperti editoriali e di marketing del gruppo. L’etica non fa cassa. Oriana Fallaci sì. Vende tanto, anzi tantissimo e dunque va riverita. All’interno del gruppo Rizzoli non sono nuovi a questo metodo: se un autore vende può fare il bello e il cattivo tempo, il contenuto non conta. L’ultimo libello di Oriana Fallaci, «La rabbia e l’orgoglio», pubblicato sull’onda emotiva dell’11 settembre sulle pagine del Corsera e poi trasformato in saggio, ha venduto più di un milione di copie. Tradotto in moneta sonante si tratta di circa 10 milioni di euro, quasi venti miliardi di vecchie lire. Quanto basta per sanare altri buchi. Dunque davanti agli scritti della signora bisogna inchinarsi. Anche se fanno ribrezzo. Nei corrodoi della Rizzoli ti raccontano che quando arriva lei si mettono le mani nei capelli. Nessuno la sopporta, qualcuno si segna. Ma l’azienda Fallaci funziona, fa profitti e quindi nessuno osa alzare la voce. «Sai com’è – ti spiegano in Rizzoli – le sue vendite hanno risollevati i bilanci un po’ scalchignati della Rizzoli Libri e dunque tutto le è permesso».

L’ultima bravata letteraria, (si fa per dire), di Oriana Fallaci nasce dunque in questo clima all’interno del gruppo editoriale guidato da Cesare Romiti. Nella lettera aperta ai fiorentini la sdegnata Fallaci minaccia addirittura di presentarsi a Firenze come scudo umano contro i cattivi no global, indicandoli al pubblico ludibrio come i nemici della civiltà e della cultura. Che non sia un modo per diventare un caso politico e vendere ancora di più?

In via Solferino non tutti hanno digerito la scelta di Ferruccio De Bortoli. Anche i più moderati pensano che non prendendo le distanze dall’ultima sortita della Fallaci, il Corriere della Sera si sia esposto oltre il dovuto. «Capisco anche se non condivido la scelta fatta dopo l’11 settembre – commenta un giornalista – ma adesso non siamo mica alla vigilia di un atto terroristico. A meno che a Firenze non si voglia cercare lo scontro a tutti i costi». L’uscita della lettera aperta ai fiorentini ha avuto un tragitto travagliato. «Ferruccio De Bortoli – raccontano in via Solferino – si è presentato alla riunione di redazione in serio imbarazzo. Aveva letto il servizio della Fallaci e sapeva che razza di schifezza si accingeva a pubblicare». Non a caso – raccontano altri redattori presenti alla riunione – il direttore dopo aver comunicato che la Fallaci gli aveva mandato un suo intervento sul social forum, ha messo le mani avanti, dichiarando: «So che qualcuno non sarà d’accordo».

Nel giro di qualche ora l’annuncio del direttore si è trasformato in un caso politico: il comitato di redazione del giornale si è riunito d’urgenza e ha diffuso una nota interna nella quale si riferivano i fatti e si chiedeva al direttore di prendere le distanze in qualche modo dall’intervento della scrittrice.

Il comitato di redazione, per inspiegabili ragioni diplomatiche, non ha voluto rendere pubblico il comunicato interno ma il nervosismo rimane. «Il direttore aveva detto che forse qualcosa si poteva fare per prendere le distanze dalla posizione di Oriana Fallaci ma poi non è successo nulla. E’ stata virgolettato il titolo e l’intervento è stato pubblicato come lettera. Un po’ poco per salvare la dignità del giornale».

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Da LA STAMPA

Quell’imbarazzo a sinistra sulla «seconda» Oriana
16/9/2006
di Riccardo Barenghi

Oriana Fallaci

ROMA. La donna coraggiosa, la giornalista libera e indipendente, la scrittrice fuori dal coro, quella che non aveva paura di guardare le cose e magari di cambiare opinione, come accadde sul Vietnam. O di stare accanto a un antifascista greco incarcerato e torturato dai colonnelli (Panagulis), dedicandogli poi il libro Un uomo. E’ la metà buona di Oriana Fallaci, vista da sinistra. Poi c’è la metà cattiva, quella che prorompe sui nostri schermi il 29 settembre del 2001 con il suo gigantesco articolo sul Corriere della sera, il famoso, famigerato per parecchi, comunque supervenduto, «La rabbia e l’orgoglio». E qui la sinistra, chi più chi meno, praticamente tutta, non segue Oriana. Tutt’altro, la combatte, la attacca, la critica quando le va bene, a volte la snobba, altre volte la prende in giro.

Leggendo i ricordi che i dirigenti del centrosinistra le hanno dedicato ieri si capisce che Oriana Fallaci sono due. Quella del prima e quella del dopo 11 settembre. E forse è anche così in effetti. La donna che partiva per il Vietnam convinta che gli americani avessero ragione, ma che poi cambia opinione grazie a quel che vedeva e raccontava, cosa c’entra con quella donna che inveisce e prende a calci nel sedere (metaforici ma mica tanto) non solo l’Islam, non solo i palestinesi, non solo i ragazzi dei centri sociali, ma tutti coloro che in Occidente considerava complici del Nemico, a cominciare proprio dalla sinistra intesa da lei in un senso più che largo, praticamente quasi tutti.

Difficile ritrovare la stessa persona in effetti, e così da Prodi a Fassino, da Rutelli a Veltroni, da Anna Finocchiaro a Fulvia Bandoli si sottolinea l’importanza della sua vita professionale, del suo impegno civile, dell’impronta che ha dato al giornalismo italiano e internazionale e via dicendo. Poi c’è chi si ferma qui, come il ministro Melandri, chi accenna al dissenso trascorso (Fassino e Rutelli), chi lo esplicita (Prodi) e chi ne parla senza grandi imbarazzi (Folena e Monaco). Naturalmente non mancano le tre cariche dello Stato, Napolitano, Marini e Bertinotti: si tratta di messaggi affettuosi ma istituzionali, nessun accenno a discussioni o polemiche.

E’ ovvio che nel momento della morte non sia facile e nemmeno giusto risollevare uno scontro che pure fu acceso. Non da parte di tutti peraltro, molti leader politici all’epoca evitarono di scendere nell’arena, l’atteggiamento prevalente fu quello di snobbare la furia di Oriana. D’Alema per esempio, interrogato a proposito dell’articolo che la giornalista scrisse sull’antisemitismo – ogni capoverso cominciava con «Io trovo vergognoso» – rispose così: «Mi sembra molto più importante parlare della tragedia di Jenin (strage israeliana in un villaggio palestinese, ndr.) che della Fallaci». Molti seguirono il suo esempio, come a dire: occupiamoci di cose serie e non di invettive a mezzo stampa. Molti ma non tutti. Gli articoli e poi i suoi libri ogni volta che uscivano suscitavano un vespaio, sui giornali ma anche tra i politici. Bertinotti per esempio non usò mezzi termini, disse che «Fallaci si è ormai distinta per un’avversione a tutte le differenze, a tutte le diversità, cioè all’umanità», così come il suo attuale successore Giordano che la accusò di «alimentare l’odio tra le religioni». O come il senatore a vita Giulio Andreotti, che certo un estremista di sinistra non è, e che sempre a proposito dell’articolo sull’antisemitismo (Panorama e Corriere, aprile 2002) lo giudicò «di un massimalismo che non è giusto, mi dispiace tanto per Oriana ma sbaglia». O come il segretario dei Comunisti italiani, che dell’attacco al suo partito fece un motivo di orgoglio: «Se ci individua come nemico principale vuol dire che siamo nel giusto». Fino al titolo di un articolo scritto da Rina Gagliardi su Liberazione che si intitolava «Fuck you Fallaci», e al lapidario commento dell’ingegner De Benedetti: «Pessima» (la Fallaci, non la Gagliardi).

Non poteva mancare la satira, Sabina Guzzanti arrivò all’incontro del Social Forum di Firenze nel novembre 2002 (che la giornalista aveva pesantemente attaccato), truccata da Fallaci e al grido di «un’altra Fallaci è possibile». E Gad Lerner, invitando tutti a non prendere troppo sul serio quel che Oriana scriveva, le disegnò un paio di baffi sulla fotografia appesa nello studio dell’Infedele, in diretta televisiva: «Non baffetti alla Hitler né baffoni alla Stalin, baffi più femminili possibile».

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