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Anniversario del terremoto a l’Aquila: la ricostruzione corrotta.

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Da LEFT del 1° aprile 2010

Primo anno di dopoterremoto: ”Le mani sull’Abruzzo interno”

Scritto da Angelo Venti

Le risate degli sciacalli della “cricca”, intercettate dalla Procura di Firenze, danno la misura della sorte che attende l’ormai ex “Isola felice”. Criminalità organizzata e comitati di affari all’assalto di una regione che aveva già dimostrato di essere impreparata a fronteggiare tali fenomeni: ad attirarli è il piatto ricco della ricostruzione, a spianargli la strada è il modello di intervento scelto dal Dipartimento di protezione civile.

Ad un anno dal sisma, per comprendere cosa è successo e cosa succederà, è utile ricordare le tappe principali. All’alba del 6 aprile, la strategia di Bertolaso è stata quella di esautorare gli enti locali dei loro poteri, disarticolare le forze dell’ordine nel loro funzionamento, militarizzare il territorio. Contemporaneamente, metà degli abitanti sono stati trasferiti sulla costa e gli altri, per sette lunghi mesi, tenuti chiusi nelle tendopoli e sottoposti a controlli e divieti, come quelli di assemblee o volantinaggi.

Così, in un territorio spopolato e con le comunità distrutte e disperse, tutta la prima emergenza è stata gestita come uno dei tanti Grandi eventi, con il suo corollario di sperperi e favori. Emblematico, sul modello del G8 alla Maddalena, è l’appalto dei bagni chimici nelle tendopoli. Sono 3.500 quelli noleggiati, al prezzo di 80 euro al giorno: secondo le indagini ne risulterebbero circa 1.600 in più del necessario, quasi 4 milioni di euro al mese sprecati. E resta da chiarire anche il ruolo di diverse ditte campane, già impegnate nell’affare rifiuti e arrivate a L’Aquila – chiamate dalla protezione civile – all’alba del 6 aprile.

Ma accadono altri episodi ben più inquietanti. A poche ore dall’annuncio della Procura di inchieste per crolli sospetti, Il giorno di Pasqua e Pasquetta decine di camion e ruspe trasportano a Piazza d’Armi proprio quelle macerie per triturarle in due enormi macchine tritasassi: centinaia di metri cubi di detriti – e di prove – vengono così fatti sparire. Subito dopo la Dna crea un pool antimafia per l’emergenza Abruzzo.

Ed è in questo scenario che parte il Progetto CASE: con la promessa “Dalle tende alle case entro settembre“, si avvia la costruzione di 4.700 nuovi alloggi. Grazie al potere di ordinanza e di deroga, il Dipartimento aggira le leggi ordinarie, non solo urbanistiche e ambientali, ma anche quelle su appalti e subappalti: con il pretesto dell’emergenza, Bertolaso gestisce così altre centinaia di milioni di euro senza controlli, nemmeno della Corte dei conti.

Quello degli scarsi controlli è uno dei nervi scoperti e chiama in causa le responsabilità del governo. Ad aprile il Decreto Abruzzo disponeva «permeanti controlli antimafia sui contratti pubblici e sui successivi subappalti e subcontratti», da effettuarsi a partire dalle Linee guida indicate dal «Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere» e che per garantire l’efficacia dei controlli antimafia è prevista la «Tracciabilità dei relativi flussi finanziari». Il decreto prevedeva pure l’obbligo di istituire la «White list», una lista delle imprese “oneste” cui rivolgersi per il conferimento di subappalti; la costituzione della Sezione specializzata «per la prevenzione e la repressione dei tentativi di infiltrazione mafiosa», e del Giger (Gruppo interforze centrale per l’emergenza e ricostruzione).

Questo ad aprile 2009. Otto mesi dopo, quando il lavori del Progetto CASE dovevano essere già ultimati, del decreto sulla «Tracciabilità dei flussi finanziari» non vi è traccia, mentre il decreto che stabilisce composizioni e compiti della “Sezione specializzata” e del “Gicer” è stato emanato solo il 3 settembre e fino a metà ottobre risultava ancora giacente presso la Corte dei conti. E’ il Prefetto a fornire un’altra data certa: la prima riunione della «Sezione specializzata» si è tenuta solo l’11 novembre.

Di fatto si ammette si ammette che nell’intera fase del soccorso e della ricostruzione leggera si sono spesi oltre un miliardo di euro senza attivare strumenti essenziali di controllo e contrasto previsti sin da aprile.

Non è un caso che ad oggi le imprese escluse da appalti e subappalti siano pochissime. Eppure non sono mancati casi sospetti, come quello dell’Impresa Di Marco, impegnata nel movimento terra nel cantiere di Bazzano. Il titolare risultava socio anche nella Marsica plastica srl insieme a elementi riconducibili alla criminalità organizzata siciliana e ad uno degli arrestati a Tagliacozzo nella Operazione Alba d’oro, definita dagli stessi inquirenti, tre settimane prima del terremoto, come «il primo caso conclamato di presenza mafiosa in Abruzzo». Appresa dai giornali la notizia il prefetto convocò una irrituale conferenza stampa in cui difese la ditta, salvo poi vedersi costretto, 70 giorni dopo, a ritirargli il certificato antimafia.

Ma è successo anche di peggio. A luglio, le forze di polizia arrestano un latitante all’interno di uno stabilimento di una grande azienda locale aggiudicataria di un cospicuo appalto e accertano che il latitante lavora per un’altra impresa subappaltatrice priva di autorizzazione. Vengono allora disposti accessi in due dei circa cento cantieri aperti e si individuano 132 ditte sospettate del reato di subappalto non autorizzato. A metà novembre, il Dipartimento inserisce nell’ordinanza 3820 un semplice comma che di fatto cancella tale reato: così le forze dell’ordine si vedono sottrarre tra le mani le prove già raccolte.

Per i subappalti senza gara un caso indicativo è quello del’on. Filippo Piccone, coordinatore del Pdl abruzzese, che ha appena fatto eleggere a Presidente della provincia il suo pupillo. Con una sua ditta, la Korus, si è aggiudicato in Ati con altre due aziende almeno tre forniture e messa in opera di infissi in alluminio per quasi due milioni di euro. Solo per una di esse la Protezione civile indica il 25 settembre come data di firma del contratto: eppure la mattina del 26 settembre gli infissi dell’onorevole Piccone venivano già scaricati nel cantiere di Bazzano, dal tir dell’azienda di suo padre Ermanno. Quest’ultimo, risulta socio anche della Rivalutazione Trara srl, insieme all’onorevole pdl Sabatino Aracu e Dante Di Marco, lo stesso a cui è stato ritirato il certificato antimafia per il movimento terra proprio nel cantiere di Bazzano.

Sarebbero oltre 300 le imprese siciliane, calabresi, pugliesi, napoletane e abruzzesi da “accertare”, comprese diverse con sede al nord ma intestate a figli o a nipoti di mafiosi o camorristi di seconda e terza generazione.

A dare la misura dei rischi è Olga Capasso, Pm della Direzione nazionale antimafia: “Non ci sono solo i Casalesi ma anche mafia e ‘ndrangheta“, ha confermato il 25 gennaio – Quello dell’Aquila è uno dei nodi più grossi a livello nazionale“. Per la Capasso occorrono più forze dell’ordine e più sostituti: “Il quadro è già allarmante con l’emergenza, figuriamoci con la ricostruzione durante la quale oltretutto gli appalti sono dati ai comuni e dal momento che in Abruzzo la corruzione è endemica, c’é anche questo pericolo“. La Pm denuncia le condizioni degli uffici ospitati presso il tribunale dei minori: “è saltata la corrente elettrica, poi è tornata, ma nel frattempo sono andati fuori uso i pc“.

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