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Su “Antimafia duemila” e “gli italiani” l’articolo “Benevento, una citta’ tranquilla?”

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Benevento, una citta’ tranquilla?

di Eleonora Mastromarino – 24 marzo 2010

Nella tranquilla Benevento: il capo clan “riceve” in ospedale e un “marito geloso” possiede un arsenale e fa pedinare il magistrato che lo indaga.

“Benevento è una città tranquilla”, questo continuano a ripetere politici locali, amministratori e a volte perfino esponenti delle forze dell’ordine, si continuano ad ignorare allarmanti avvenimenti che, se presi nella giusta considerazione, darebbero di Benvenuto una immagine del tutto differente.

Ne è un esempio lampante quello che è successo poco meno di un anno fa, quando Saverio Sparandeo, capo dell’omonimo clan della camorra beneventana, è stato arrestato a seguito della denuncia per estorsione fatta da un imprenditore edile locale.

L’argomento è stato trattato velocemente dai media locali ed è stato completamente ignorato da quelli nazionali, eppure quello che potrebbe sembrare ordinaria amministrazione, ovvero l’arresto di un capo clan per estorsione, avrebbe dovuto indignare e smuovere l’intera città, dato che il taglieggiamento ha avuto luogo nel Reparto di Psichiatria dell’Ospedale Rummo di Benevento, dove Sparandeo era ricoverato.

Il capo clan, detenuto nella Casa Lavoro ‘Saliceto San Giuliano’ di Modena, era tornato in città con un permesso premio e, a causa di un malore, era stato poi ricoverato presso il nosocomio cittadino.

In genere il ricovero, specialmente nei reparti psichiatrici, dura al massimo 3 settimane ma, nel caso di don Saverio, si è prolungato per più di due mesi. È stato interrotto, infatti, solo dall’intervento della DDA di Napoli che accusa Sparandeo di ricevere nella sua camera singola, di un ospedale pubblico a corto di posti letto, in tutta tranquillità e senza che nessuno notasse niente, gli imprenditori da taglieggiare.

Insomma, forse è vero che Benevento sia una città tranquilla, tutto sta nel capire per chi. Sembrerebbe, per esempio, più che tranquilla per tutti quelli che vogliono gestire i proprio affari illeciti lontani dall’attenzione mediatica che un evento del genere susciterebbe, senza dubbio, a Napoli o a Caserta.

Molte cose nella “città tranquilla” passano inosservate, e molte altre vengono considerate innocue, pur non essendolo affatto. È il caso di Renato Morante, in carcere da due anni per quello che sembrava essere un semplice, seppur triste, caso di delitto passionale, frutto della gelosia dell’uomo verso gli ex fidanzati di sua moglie. Morante è accusato di tentato omicidio, nei confronti di Giovanni Vesce, e di violenze, minacce, danneggiamenti e di nuovo tentato omicidio ai danni di Roberto De Sanctis, un altro sfortunato ex.

Nell’agosto del 2003, in pieno giorno e su una strada molto frequentata, Vesce viene colpito da tre proiettili mentre è a bordo del suo motorino. Ad esploderli da una macchina in corsa sarebbe stato, secondo gli inquirenti, proprio Renato Morante. Roberto De Sanctis, invece, non ha dubbi: è stato Morante a perseguitare lui, i suoi familiari e perfino i dipendenti del bar che la vittima gestisce, per due anni prima del tentato omicidio, avvenuto alla vigilia della deposizione di De Sanctis al processo intentato per molestie contro lo stesso Morante.

Tutto ciò viene considerato un caso di “gelosia parossistica”, come a dire violento ma comune. Eppure i conti non tornano, le indagini proseguono e, durante una recente perquisizione nell’abitazione dell’uomo, salta fuori un vero e proprio bunker in cemento armato, interrato nel giardino di casa, contente: due fucili, nove pistole, tre silenziatori, circa mille e duecento munizioni di vario calibro, quindici detonatori a miccia, quattro bombe a mano da guerra in buono stato di conservazione, vari documenti contraffatti e tutto il necessario per la realizzazione di ordigni esplosivi.

Semplice follia di un marito geloso, come succede, purtroppo, anche nelle “migliori città”?

È sempre un’insana gelosia che spinge Morante ad ordinare ad un suo sodale, Quirino Lombardi, poi decisosi a collaborare con gli inquirenti, di seguire e studiare le abitudini del pm Antonio Clemente e di programmare ritorsioni ai danni dei familiari dei carabinieri che hanno condotto le indagini?

Può esserci, a questo punto, semplice ingenuità o disattenzione nelle parole di chi si ostina a voler considerare Benevento una “città tranquilla”?

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