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Il giudice Piercamillo Davigo: “Oggi la casta dei corrotti fa quadrato”

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Il Fatto Quotidiano del 17 febbraio 2010

Intervista al giudice Piercamillo Davigo: “Si ruba di più ma i partiti non mandano a casa nessuno”

Piercamillo Davigo, lei oggi è giudice di Cassazione, ma 18 anni fa era una delle punte di diamante del pool Mani Pulite. Si respira di nuovo l’aria di quel momento magico?

Segnali ce ne sono, ma è presto per dirlo. In fondo, quando fu arrestato Mario Chiesa il 17 febbraio 1992, non era la prima volta che veniva preso un pubblico amministratore in flagranza di tangente. Mani Pulite ci insegnò che la corruzione è un fenomeno seriale e diffusivo: quando ne trovi uno con le mani nel sacco, di solito alle sue spalle ce ne sono molti altri e non è la prima volta che lo fa. Poi, se si riesce o meno a risalire al sistema che c’è dietro, dipende dalle circostanze storiche.

Quelle attuali sono propizie?

Nel 1992 uno dei fattori decisivi fu che erano finiti i soldi e gli imprenditori non potevano più pagare un sistema politico che non dava più nulla in cambio. I vincoli europei di Maastricht erano strettissimi e impedivano allo Stato di fare altri debiti per mantenere la spesa pubblica con acquisti di beni e servizi. L’Italia era alla bancarotta, la lira svalutò (o le altre monete rivalutarono, come disse il premier Amato) e uscì dal Sistema monetario europeo. Oggi mi pare che la spesa continui a crescere dilatando il debito con la scusa della crisi internazionale. Diciotto anni fa la crisi era solo italiana e non si poteva dare la colpa agli altri.

Altre differenze fra allora e oggi?

All’inizio i partiti scaricavano i soggetti che venivano via via arrestati, descrivendoli come mariuoli isolati, singole mele marce. E quelli, sentendosi mollati, ci dissero: “Ah sì, mela marcia io? Allora vi racconto il resto del cestino”. E venne giù tutto. Oggi mi pare che i partiti continuino a difendere i propri uomini che finiscono nei guai, o almeno il sistema nel suo complesso. La casta fa ancora quadrato, nessuno viene scaricato.

Eppure i partiti sono tanto arroganti nell’occupare il potere quanto deboli e dilaniati all’interno e lontani dalla gente.

Non so, non mi occupo di politica. Ma nel ’92 era entrata in crisi la forma-partito come strumento di aggregazione del consenso. Oggi non sono più i partiti ad aggregare il consenso, ma l’informazione, o meglio la disinformazione a essi sottostante. Nel ’92 giornali e tv raccontavano i fatti, e i fatti superavano i commenti perché parlavano da soli; oggi molto spesso i fatti vengono nascosti, filtrati e manipolati da un sistema mediatico ferreamente controllato. Il commento fuorviante prevale sulla cronaca, relegata in posizioni marginali per consentire ai media di parlar d’altro.

Si riferisce a qualche episodio in particolare?

Ci vorrebbe un’enciclopedia. Ultimamente, dopo 18 anni passati a sentirmi dare della toga rossa e del comunista, ho scoperto di essere un agente della Cia e di aver fatto Mani Pulite per ordine degli americani. Almeno nelle diffamazioni ci vorrebbe un po’ di coerenza.

Nel 1992 la corruzione costava agli italiani 5 miliardi di euro all’anno. Oggi 40 per la Banca Mondiale e 60 per la Corte dei Conti. Si ruba di più?

Sicuramente più di quanto risulti dalle statistiche. La corruzione ha alcune caratteristiche della mafia, fra cui la sommersione. E’ nella sua natura. Non si consuma di fronte a testimoni; è un reato a vittima diffusa, non viene subita da una persona fisica che abbia l’interesse a denunciarla; e le pratiche comprate sono proprio le più “a posto”, le più curate; se a ciò aggiungiamo le leggi fatte apposta per impedirci di scoprirla e di reprimerla, il clima in cui operano i magistrati e lo sfascio della giustizia non impedito e talora accentuato da parte di tutti i legislatori che si sono trasversalmente avvicendati in questi 18 anni, mi domando perché mai la corruzione dovrebbe emergere.

Ecco, il clima. La magistratura sembra molto più pavida, rispetto al ’92.

No, tutto sommato, nonostante i violentissimi attacchi, ha tenuto. Anzi negli anni Ottanta, quando subì il referendum sulla responsabilità civile dopo le prime indagini sulla corruzione e il crimine organizzato, ne uscì a pezzi. Oggi è molto più corazzata. Grazie a Dio, gli attacchi hanno investito non solo i pm, ma tutti i giudici di ogni grado, fino alle sezioni unite della Cassazione. E ci hanno tenuti uniti. Poi certo, ci sono quelli che non cercano rogne. Ma sono controbilanciati da altri che si impegnano molto. Il fatto che in tutta Italia ci siano ancora tante inchieste e processi sui reati dei colletti bianchi, nati quasi sempre da iniziative dei pm e quasi mai dalle forze di polizia (che non hanno le nostre guarentigie di indipendenza dal potere politico) dimostra che siamo riusciti nell’intento che un giorno mi enunciò Mario Cicala: tenere insieme le pattuglie dei samurai e il resto della truppa, rallentando un po’ i primi e spingendo avanti la seconda.

Infatti vogliono staccare la polizia giudiziaria dal pm.

Incostituzionale. L’articolo 109 della Costituzione dice che “l’Autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”.L’avverbio “direttamente” vuol dire senza la mediazione del governo. Ma a certuni non va bene nemmeno il verbo “dispone”…

Come si ripercuote sulle indagini il clima creato dai politici?

La corruzione, come la mafia, crea relazioni con altissime capacità di inquinare le prove: basta un’occhiata per indurre qualcuno a raccontare le cose in un modo anziché in un altro e modificare così le ipotesi di reato fino a renderle non penalmente perseguibili, viste le norme farraginose che abbiamo. Una normativa chiara e semplice potrebbe venire dal recepimento della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla corruzione, ma l’Italia, dopo averla firmata nel 1999, non l’ha mai ratificata. Per tutti questi motivi, non si può indagare su un caso di corruzione se i protagonisti comunicano fra loro. Ma le campagne contro le presunte “manette facili” hanno sortito l’effetto che oggi si arresta molto meno, dunque molte indagini vengono irrimediabilmente inquinate e muoiono lì. Gli indagati fingono di collaborare, ti dicono solo quel che non possono negare e spesso te lo raccontano a modo loro, dopo aver concordato versioni di comodo con i complici. Nel sistema ci sono meno smagliature in cui infilarsi per scoprire la verità.

Quali sono le leggi più dannose degli ultimi anni?

Le sole che rendevano più facile la scoperta e il perseguimento di questi reati derivano da convenzioni internazionali. Però in sede di ratifica sono state comunque depotenziate. Esempio: è stata introdotta la confisca per equivalente del prezzo, ma non del profitto di reato. La legge, come ha confermato una recente pronuncia della Cassazione a sezioni unite in materia di peculato, non consente la confisca dei beni per l’equivalente del profitto sottratto (a meno che, si capisce, non si trovi il bottino). Si può soltanto confiscare l’equivalente del prezzo del reato. Come portar via al rapinatore l’equivalente della paga avuta per compiere una rapina, ma non la refurtiva. Le leggi più dannose sono quella del centrosinistra sui reati fiscali e quella del centrodestra sul falso in bilancio.

La prima è quella varata sotto il governo Amato nel 2000?

Esatto: punisce l’uso di fatture per operazioni inesistenti solo se superano una certa soglia e se si riverberano sulla dichiarazione dei redditi: basta portare spese gonfiate o inventate fra i costi non deducibili, e non fra quelli detraibili, e si ottengono risorse fuori bilancio senza più commettere reato.

Poi c’è la riforma del falso in bilancio del 2001, governo Berlusconi.

Hanno abbassato le pene e dunque la prescrizione: impossibile fare i processi in tempo utile. Poi hanno introdotto soglie di non punibilità altissime: la “modica quantità” di fondi neri, come per la droga. Ma soprattutto, per le società non quotate, il reato è perseguibile se la parte offesa, creditore o azionista, sporge querela contro gli amministratori. Mai visto processi per falso in bilancio scaturiti dalla denuncia del socio di maggioranza, che di solito è il mandante e il beneficiario del reato (altrimenti, invece di denunciare l’amministratore, lo caccia). Quanto al socio di minoranza, se anche sporge denuncia, è facile fargliela ritirare risarcendogli il danno subìto, o anche di più. Stabilire la perseguibilità del falso in bilancio a querela dell’azionista è come stabilire la perseguibilità del furto a querela del ladro. E il creditore, l’unico che potrebbe denunciare, come fa a sapere che i bilanci sono falsi?

Niente processi per falso in bilancio, niente processi per corruzione?

Bè, chi vuol corrompere qualcuno deve avere dei fondi neri, cioè deve truccare i bilanci. Dietro un falso in bilancio molto spesso si nascondono tangenti. Poi hanno depenalizzato l’abuso d’ufficio non patrimoniale e abbassato le pene per quello patrimoniale, vietando la custodia cautelare. Raramente un pubblico amministratore tarocca una pratica così, per sport: se lo fa, spesso, è perché qualcuno lo paga per essere favorito. Ai tempi di Mani Pulite dicevamo che gli abusi d’ufficio erano spesso corruzioni di cui non avevamo ancora scoperto la tangente. Quel reato era utilissimo per mettere le mani nelle pratiche abusive e di lì iniziare a indagare su quel che c’era dietro. Ora è impossibile.

E i danni dell’ex Cirielli?

Oltre a ridurre le prescrizioni e a mandare in fumo decine di migliaia di processi in più, ha sortito un effetto spesso ignorato: prima, se un corrotto prendeva tangenti per 10 anni, tutte le mazzette rientravano in un unico disegno criminoso e l’istituto della continuazione gli dimezzava la pena: ma la prescrizione decorreva dall’ultima tangente intascata. Con l’ex Cirielli invece ogni tangente fa storia a sé ed evapora dopo 7 anni e mezzo. Se anche il processo comincia subito dopo l’ultima, quelle dei primi due anni e mezzo sono già prescritte e le altre si prescrivono a scalare. Alla fine non rimane praticamente nulla.

Ora il Parlamento tenta di blindarsi con l’immunità parlamentare. S’è convertito anche Luciano Violante. Dice che la Legge rischia di abbattere il Voto, la magistratura di alterare l’equilibrio democratico-elettorale. Paragona i magistrati ai leoni che vogliono scalare il trono del re.

Mi pare una sciocchezza. Noi non abbiamo scalato un bel nulla. E poi è la legge che dà il voto. Senza legge non c’è voto. Non ho mai capito che senso abbiano i discorsi sul primato della politica: il primato, in uno Stato di diritto, è della legge. Sopra tutto c’è la Costituzione. Non si cambiano le regole contro la Costituzione.

Infatti vogliono cambiare la Costituzione.

E devono fare molta attenzione, perché non possono cambiarla come pare a loro. I principi generali scritti nella prima parte non si toccano. Prendiamo l’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” eccetera. Li riconosce perché sono preesistenti, dunque anche se a qualcuno viene in mente di scrivere il contrario in un nuovo articolo 2, non bastano le procedure e le maggioranze previste dal 138 per farlo.

Possono esistere leggi costituzionali incostituzionali?

Certamente, la Corte costituzionale l’ha affermato più volte. E comunque l’Europa certe sconcezze non le consentirebbe.

Vale anche per l’immunità parlamentare?

Certo: anche l’articolo 3, cioè il principio di eguaglianza, è un principio immutabile. Eventuali deroghe devono essere eccezionali, ben definite, limitate e basate su altri principi di rilievo costituzionale. Non si può stabilire nemmeno con legge costituzionale che qualcuno è più uguale degli altri. L’autorizzazione a procedere come la immaginano certuni riprenderebbe non lo spirito del vecchio articolo 68, ma la lettura che se ne fece per quarant’anni fino al ‘93: non come una difesa dell’autonomia del Parlamento, ma come scudo spaziale per qualunque delitto della casta. E poi, là dove ha senso, cioè per le opinioni espresse e i voti dati, l’immunità c’è già (e viene fin troppo dilatata, abbracciando anche gli insulti che questo o quel politico lancia in tv o per strada). Non c’è bisogno di altro. I Padri costituenti non avevano certo concepito l’autorizzazione a procedere per fermare indagini e processi per reati gravi, comuni ed extrafunzionali. Ma solo per eventuali fattispecie delittuose legate alle funzioni, all’attività politica. Non pensavano certo alla corruzione, alla truffa, alla mafia.

Si spieghi meglio.

Io trovo giusto che non si possa arrestare un parlamentare prima del processo senz’autorizzazione della Camera di appartenenza. Trovo invece irragionevole l’autorizzazione del Parlamento per le intercettazioni e le perquisizioni: sono atti a sorpresa, come si fa ad avvertire prima l’intercettando o il perquisendo? Tanto vale dire che i parlamentari non si possono intercettare né perquisire.

Dunque niente ripristino dell’autorizzazione a procedere?

Gliel’ho detto, non mi occupo di politica. Se la maggioranza pensa di avere la forza di reintrodurla, lo faccia. Invece stanno cercando i voti dell’opposizione per raggiungere i due terzi ed evitare il referendum popolare. Il che la dice lunga su quanto credono nella condivisione dei loro propositi da parte dei cittadini.

Il legittimo impedimento le pare legittimo?

Da un lato mi pare inutile: come può un giudice negare la legittimità di un impedimento del premier? Sempreché esista davvero, è ovvio. Se invece significa un rinvio automatico per ordine del governo, la legge è incostituzionale: i giudici non possono prendere ordini dal governo.

Dicono: non si può fare l’imputato e governare.

Giusto. Allora i casi sono due: o si concordano le date delle udienze nei momenti liberi da impegni di governo, almeno per quelle in cui si trattano questioni legate alla posizione del governante; oppure basta dimettersi. Quando Clinton fu tratto in giudizio da Paula Jones, che sosteneva di avere subìto molestie, lui chiese alla Corte Suprema di esentarlo dal sottoporsi all’ispezione corporale su un suo particolare anatomico. La Corte gli disse di scordarselo: poteva fare l’esame alla Casa Bianca, ma doveva farlo come ogni altro imputato. E non si può dire che il presidente degli Stati Uniti abbia meno da fare del presidente del Consiglio italiano. In altri paesi questi discorsi sono inimmaginabili. Non è questione di regole, ma di costume.

Obiettano che un politico viene bloccato da un processo e poi magari risulta innocente.

A parte che non ricordo politici bloccati da processi, i processi si fanno appunto per stabilire se uno è colpevole o innocente. Si sa dopo, non prima. Spesso però i processi evidenziano fatti che dovrebbero bastare e avanzare perché l’imputato si metta da parte. Le scelte politiche ed etiche sono molto diverse dai nostri criteri di valutazione della prova. Se vado al ristorante e mi avveleno, non aspetto la condanna del ristoratore: cambio subito ristorante. Se un tizio viene rinviato a giudizio o condannato “solo” in primo grado per pedofilia, non vedo perché dovrei fargli accompagnare mia figlia a scuola. La prudenza non c’entra con la presunzione di non colpevolezza. In casi simili la Chiesa usava un brocardo: “Nisi caste, saltem caute”. Se non riesci a essere casto, sii almeno cauto. Qui invece si fa l’apologia dei reati. Una volta, nei partiti, valeva la regola che si perdonava di tutto in camera caritatis, ma quando si veniva scoperti si andava a casa: per mancanza di cautela. Ora non va più a casa nessuno, nemmeno se viene preso con le mani nel sacco, nemmeno se viene condannato in via definitiva. L’unica reazione è: “Embè?”. Poi qualcuno si meraviglia se continuano a prendere mazzette: e perché dovrebbero smettere?

Dicono: così fan tutti.

Ugo Tanassi quando fu pizzicato nello scandalo Lockheed: parlò di “delitto politico”. Io ero molto giovane e rimasi di sasso. Poi capii: lo facevano in tanti. Ma almeno non gli perdonarono di essersi fatto scoprire e lo misero da parte.

L’hanno ripetuto per la beatificazione di Craxi: rubano tutti.

Quando sento questa frase, mi vien voglia di ribattere: “Ah sì, ruba anche lei?”. Quello risponderà: “No”. “Ecco, vede? Siamo almeno in due che non rubiamo”…

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