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Retroscena sull’archivio Genchi: come bloccarono De Magistris

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Genchi_copertina-204x300Why not:  Magistrati con relazioni pericolose, uomini politici che fanno e disfanno nomine e affari. Le carte del consulente fotografano intrecci non narrabili, dove chi indaga spesso lo fa su se stesso o sui propri amici e parenti

di Pietro Orsatti su Terra

Nei palazzi di giustizia di Roma e Catanzaro e in altri uffici e palazzi del potere politico e giudiziario staranno maledicendo il momento in cui è stata aperta l’inchiesta a carico di Gioacchino Genchi, chiamato a rispondere di violazione della privacy, abuso d’ufficio e “costituzione illecita di archivio”. Perché la legge, in caso di un’accusa formale, consente all’imputato di poter accedere pubblicamente, consentendo, in quanto materiale “pubblico”, la divulgazione delle proprie memorie difensive e quindi la possibilità di pubblicare i contenuti del cosiddetto “archivio”. Cosa che Genchi ha prontamente fatto nel libro Il caso Genchi, edito da Aliberti e curato da Ettore Montolli.

Tutto ruota attorno all’archivio sequestrato dai Ros lo scorso anno (e fino ad allora sottoposto al segreto istruttorio) e a quella inchiesta, “Why not”, che ha provocato sia il sequestro delle carte e dei supporti informatici che l’inchiesta da parte della Procura di Roma sul consulente di DeMagistris. Poco prima che a De Magistris fosse avocata l’indagine “Why not”, si racconta nel libro, erano state acquisite dalla Procura di Crotone alcune intercettazioni telefoniche sui numeri di Marilina Intrieri, successivamente diventata presidente del consiglio nazionale dell’Udeur, registrate dai carabinieri durante la campagna elettorale politica del 2006. Nelle intercettazioni si alludeva a raccomandazioni, a possibili collusioni politico-mafiose anche nel delitto Fortugno, a possibili ricatti sulle nomine e sulle gestioni delle Asl. Si parlava di servizi segreti, finanziamenti pubblici da centinaia di milioni di euro. Ed emergerebbe, sempre dalla lettura del libro, il ruolo predominante in Calabria svolto in particolare da Marco Minniti in praticamente quasi tutte le nomine dell’epoca, mentre la Intrieri sarebbe risultata invece imposta da Anna Serafini, moglie di Fassino. Questi dissidi emergevano in alcuni brogliacci in maniera inquietante: «La nota persona ha riferito a Marilina che la cosa non è stupida, è una cosa molto seria, perché se lei si candida può essere uccisa, in quanto a Crotone Adamo e Minniti hanno interessi precisi e chiari e non la vogliono tra i piedi».

Su questo e altro si apprestava a lavorare Genchi per conto di De Magistris, ma con la revoca dell’incarico e il passaggio di “Why not” nelle mani del sostituto procuratore generale Alfredo Garbati l’incaricò venne sospeso. Ma da quanto risultato al vicequestore, Garbati e Minniti erano in strettissimi rapporti: nell’ordine di centinaia le telefonate tra i due. E non ci si ferma qui. Il libro, infatti, analizza anche il rapporto del Ros di Roma che contestava a Genchi il lavoro svolto per De Magistris, svelando che in realtà di rapporti ne esisterebbero due, e diversi fra loro. Il primo fu inviato a Catanzaro. Il secondo, mandato alla Procura di Roma (lo stesso acquisito dal Copasir), e che invece gli fu consegnato al momento dell’avviso di garanzia, conteneva contestazioni assai diverse dal primo. E da qui Genchi si sarebbe accorto di alcune “sparizioni”, fra cui la contestazione di un numero de La Margherita, che Genchi stesso indica riconducibile a Francesco Rutelli, così come era annotato in quattro agende di Saladino, principale imputato di “Why not”. Grazie a questo rapporto Ros, Rutelli riuscì a presiedere al Comitato sui servizi sostenendo come le sue utenze non fossero state trattate e facendo quindi intendere di non avere nulla a che fare con Saladino. Genchi oggi rileva che Rutelli di Saladino avrebbe avuto sia i numeri cellulari personali sia il numero di casa e anche altri nove riferimenti diretti di vari segretari e capi di gabinetto e numerosi indirizzi email.

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