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Critiche feroci al Piano per l’edilizia speculativa del Governo

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partito-cemento2Un articolo di Carlo Lania, una dichiarazione di Mercegaglia e un commento di Pippo Ciorra sul decreto, e Giacomo Russo Spena sugli sfratti, da il manifesto, 24 marzo 2009

Abusivismo legalizzato nel decreto legge per cementificare ancora un po’. Anche nei parchi. Per il Pd è incostituzionale: «Ci opporremo con ogni mezzo»

Colata di cemento delle libertà
di Carlo Lania

Con il piano casa il paese si prepara a diventare un cantiere. Non si salvano neanche i parchi e i centri storici. Le regioni minacciano il ricorso alla Consulta. Domani l’incontro con il governo

C’è chi ha già preparato il ricorso alla Corte costituzionale e chi, anche senza mettere mano alla carta bollata, ha già resa pubblica la sua opposizione al Piano casa del governo. E così domani, quando si terrà l’incontro con il ministro per i rapporti con le Regioni Raffaele Fitto per discutere i contenuti del decreto che rischia di trasformare l’Italia in un gigantesco cantiere, non sono pochi i governatori decisi a dare battaglia. Di sicuro tutti quelli di centrosinistra, dalla Toscana all’Umbria passando per Lazio, Trentino, Marche, Piemonte, Emilia, Puglia, Campania, Valle d’Aosta e Liguria, arrabbiati perché si vedono espropriati di una materia, come quella relativa alla tutela del territorio, che la Costituzione affida alle Regioni, ma anche per la scelta di procedere attraverso un decreto. «Se il governo non farà un passo indietro, di sicuro ci sarà una rottura istituzionale», hanno fatto sapere ieri i governatori.

Una posizione che però l’esecutivo, almeno per ora, non sembra intenzionato ad ascoltare, nonostante ieri lo stesso Fitto abbia espresso la speranza di arrivare a «un testo condiviso». Diplomazie che non sembrano interessare Giulio Tremonti. Forte del consenso incassato anche da Confindustria, il titolare del Tesoro ieri sera si è infatti lasciato andare a una difesa senza dubbi né riserve del Piano casa: «Funzionerà molto bene per famiglie, piccole e medie imprese… falegnami e piastrellisti», ha detto ai microfoni amichevoli del Tg4. «Sarà certamente una manovra a costo zero per il bilancio pubblico e un grande risultato per il bilancio di famiglie e per la nostra economia».

Sarà davvero così? Aldilà di quanto dice Tremonti, è difficile che tutte le famiglie italiane potranno davvero avvalersi dei «benefici» previsti dal decreto. Senza parlare delle ricadute che il provvedimento provocherà su un territorio già messo a dura prova. «Il governo dà a ognuno il via libera per fare quello che vuole, a partire dai costruttori», dice ad esempio il Verde Angelo Bonelli. «Un via libera destinato a cambiare completamente il volto delle nostre città».
Sono sufficienti sette articoli per avviare una vera e propria deregulation del settore. All’articolo 1 il compito di mettere da parte le Regioni. Il secondo comma stabilisce infatti che le disposizioni del decreto si applicano a tutto il territorio nazionale «sino all’emanazione di leggi regionali» in materia di governo del territorio. Il che significa che la Regione che deciderà di non far suo il decreto dovrà affrettarsi a legiferare. Ma per quanto in fretta possa fare, ci sarà sempre una finestra temporale all’interno delle quale chi vorrà ampliare la propria abitazione potrà farlo liberamente. Il provvedimento del governo stabilisce infatti la possibilità di ingrandire del 20% il volume della propria casa, percentuale che sale fino al 35% nel caso si demolisca completamente l’abitazione per ricostruirla con tecniche di bioedilizia o utilizzando fonti di energia rinnovabile.

Ma il vero grimaldello utile a forzare qualunque piano regolatore è scritto all’articolo 4, dove si spiega che ogni intervento edilizio di ampliamento potrà essere avviato presentato una semplice Dichiarazione di inizio attività al Comune di appartenenza. Senza più bisogno di una licenza edilizia e senza alcuna possibilità per il Comune di opporsi ai lavori. «Ma un altro articolo pericoloso è il 5», spiega Bonelli. Articolo che vieta di costruire nelle zona A dei parchi naturali. «Messa così sembrerebbe una norma a tutela dell’ambiente. In realtà è l’opposto visto che il divieto vale solo per le aree a tutela integrale (chiamate zone A) e non per le zone B che, pur essendo all’interno di un parco, sono però a tutela orientata». Via libera, dunque alle ristrutturazioni selvagge nelle aree protette. E anche nelle città. Sempre l’articolo 5, infatti, dispone che per gli edifici non sottoposti a vincoli situati nei centri storici la Dia vada presentata anche alle competenti Soprintendenze, che avranno 30 giorni di tempo per opporsi. Trascorsi i quali prevarrà il principio del silenzio-assenso. Un puro e semplice proforma. «In Italia – spiega infatti Bonelli – i Soprintendenti abilitati al controllo sono pochissimi, in tutto circa 500. Come potranno svolgere la loro attività di controllo quando saranno sommersi da centinaia di migliaia di domande?»

DIRITTI
«Bloccate gli sfratti». In 150 mila rischiano di perdere l’abitazione
di Giacomo Russo Spena

Per affrontare l’emergenza caro affitti s’invoca il «blocco generalizzato di tutti gli sfratti». Misura adottata dal governo Prodi e repentinamente tolta lo scorso anno da questo esecutivo che non sembra intenzionato ad affrontare il problema.

Perderanno l’abitazione 150 mila persone nei prossimi due anni sia per morosità che per fine locazione, denuncia il Sunia evidenziando come da anni sia assente una politica di calmierazione dei prezzi, con più di 600 mila famiglie, ad oggi, escluse dal mercato immobiliare che attendono in graduatorie l’assegnazione di un alloggio popolare. «Nell’ultimo decennio c’è stata un’attesa di rendimento fuori da ogni logica – spiega il segretario del sindacato Luigi Pallotta – così oggi una parte della popolazione è stata estromessa per motivi economici». Non a caso l’80 degli sgomberi (12mila gli eseguiti e 65 mila quelli richiesti nel primo semestre 2008) avviene per morosità. E tra le famiglie messe in mezzo alla strada quasi la metà ha subito in precedenza «traumi lavorativi su almeno un reddito»: licenziamento o cassaintegrazione.

Eppure il premier Silvio Berlusconi ha sottratto nell’ultima Finanziaria ben 40 milioni d’euro al Fondo di sostegno all’affitto, non investendo un euro sulla costruzione di nuova edilizia pubblica, ormai in ginocchio (nel Paese si costruiscono in media solo 1500 case popolari l’anno). Persino quei 550 milioni stanziati dal piano Ferrero, ai tempi del governo Prodi, per il recupero di 20 mila case popolari abbandonate e «murate» in modo da non farle occupare (2500 solo a Milano) hanno preso un’altra direzione per il volere del Cavaliere. Solo dopo forte pressioni delle Regioni, si è convinto a farne “ritornare” 200. Per il resto solo soldi ai costruttori e ai palazzinari a cui viene delegata, col progetto del social-housing, l’emergenza abitativa.

Per chi ha un mutuo, soprattutto col tasso variabile, le cose non vanno meglio: sono 40-50 mila le famiglie in stato d’insofferenza, ovvero che pagano la rata in ritardo e facendo mille peripezie. «Bisogna creare un fondo comunale per il reperimento di alloggi di edilizia pubblica in cui far confluire da subito le entrate dell’aumento dell’Ici», sostiene il movimento capitolino Action che insieme ad altre sigle di lotta per la casa (il Coordinamento e i Blocchi precari metropolitani) sarà presto in Prefettura per chiedere il blocco immediato degli sfratti. Per due anni.

A Roma infatti si respira una delle situazioni più buie: nel 2007 le esecuzioni di sgombero sono state 3.341 per morosità, circa il 70 % del totale. L’Unione Inquilini trova inutile però la strada dell’incontro col prefetto. «Non è uno strumento efficace – spiega Massimo Pasquini, responsabile romano dell’organizzazione – Il governo non ascolterà mai nessuna richiesta». E allora che fare? «Bisogna lavorare sulla Regione». La sentenza 166 del 2008 infatti riconosce «solo» ai governatori il potere di «graduare gli sfratti» depotenziando quelli del governo. Una linea perseguibile coi presidenti «rossi» del Paese.

Intanto Action e gli altri movimenti lanciano una campagna dal basso, «fatta di picchetti», per fermare gli sfratti in giro per Roma. Domani i primi due. Anche perché «il sindaco Alemanno, dopo avere promesso in campagna elettorale, la realizzazione di 30 mila case popolari, dopo un anno di amministrazione, non ha fatto nulla».

CONFINDUSTRIA
Marcegaglia: sì al piano, rilancia gli investimenti privati

Luce verde anche da Confindustria al piano del governo sulla casa che verrà varato venerdì prossimo dal consiglio dei ministri (dopo la conferenza Stato-Regioni). «Va bene perché potrebbe dare una spinta all’edilizia, ma bisogna ovviamente evitare abusi e rispettare l’ambiente», ha detto ieri Emma Marcegaglia a margine degli stati generali dell’associazione degli industriali. «Dobbiamo ancora leggere il piano nel dettaglio, ma mi sembra che in un momento come questo possa dare una spinta agli investimenti privati, in un quadro di regole chiare che devono essere rispettate da tutti», ha detto ancora la presidente di Confindustria. Dunque, tutti insieme appassionatamente, centrodestra, industriali e una fetta del centrosinistra. Nel nome dell’edilizia libera e con meno regole.

COMMENTO
L’immobilismo dell’immobile
di Pippo Ciorra

La prima reazione è l’incredulità. Considerando la natura del nostro territorio è fisicamente impossibile mettere «tutti» gli italiani (o una quota rilevante) in condizioni di aumentare del 20% la cubatura delle loro abitazioni. Ci sono piani e regolamenti, distanze da rispettare e limiti sismici, altezze massime già sature, infiniti interessi da comporre. Insomma ne viene fuori un ginepraio tale che c’è davvero da chiedersi come sia venuto in mente, al premier, di infilarsi in un guaio del genere. Poi «piano piano» abbiamo assistito al solito indecifrabile miracolo: da una lato la boutade di Berlusconi che prendeva la forma di provvedimento reale, rozzo e diabolicamente demagogico.

Dall’altro abbiamo visto montargli intorno la solita marea di inarrestabile «consenso popolare», e il centro-sinistra finire come spesso gli accade nell’angolo, costretto allo strepito di testimonianza di chi sa già che non riuscirà a contrapporsi con la forza necessaria. Poi, come sempre succede in questi casi, è arrivato l’appello dei «padri (o zii) della patria» Aulenti, Gregotti, Fuksas. Appello che io, confesso, non sono riuscito a firmare. Non perché condivida l’impostazione del provvedimento del governo, ovviamente, ma perché mi pareva una buona occasione per sollevare una discussione intorno a una serie di questioni reali dalle quali la bozza del «piano casa» trae cinico vantaggio. Oltre alle mille nefandezze e incongruenze che tutti sottolineano e che tutti abbiamo capito, vale allora la pena ricordare alcune delle questioni compatibili con un approccio più «virtuoso».

Prima fra tutte la questione del «riciclaggio» del nostro orrendo patrimonio edilizio dal dopoguerra a oggi. Necessitavano incentivi e strategie, era giusto far ricorso nei casi appropriati ai «premi di cubatura» – che amministrazioni di destra e di sinistra utilizzano da decenni, c’era bisogno di sgravi e sostegni non nominali per chi demolisce e ricostruisce in modo più sostenibile. Poi la questione dell’inefficienza degli uffici e del moloch di normative e competenze sovrapposte e intrecciate, tali da paralizzare qualsiasi programma di trasformazione. Lanciandosi all’assalto contro la «burocrazia» Berlusconi si costruisce un retroterra di consenso solidissimo, che noi non abbiamo saputo smontare. Infine l’arretratezza delle nostre leggi e della nostra cultura urbanistica (lavoriamo ancora con la legge del ’42), ferma a un’impalcatura normativa pensata per centri storici, periferie di palazzoni e zone industriali quando invece il 60% degli italiani abita in casette sparse in aree indecise tra il rurale e l’urbano. Quelli appunto che aspettano con ansia il decreto Berlusconi.

Su questi e altri temi noi non abbiamo fatto abbastanza, paralizzati dalle solite diatribe e dal peso dell’ideologia, e come sempre è finito che ci ha pensato il Silvio nazionale. Che però lo fa a modo suo, alludendo subliminalmente alla memoria anticrisi (e antidisoccupazione!) del glorioso «Piano Fanfani», facendo leva sull’inarrestabile individualismo abusivista che già segna il nostro tempo e il nostro territorio, mettendo ulteriormente a rischio quell’unica ricchezza, il paesaggio e la nostra cultura urbana, che potrà forse garantirci un ruolo negli equilibri economici del futuro.

Probabilmente il «piano casa» fallirà, frenato dalle difficoltà oggettive o esploderà in una specie di allegra anarchia in stile Bombay, ma in ogni caso questo non giustifica le nostre mancanze e la nostra mortale propensione all’immobilità.

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