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L’Arpac tenta in modo maldestro di minimizzare il rischio inquinamento.

(Il Quaderno.it) del 26/08/2009
Incendio capannone Barletta, l’Arpac: nessuna sostanza nociva nell’aria a San Giorgio

Nostro servizio – Nessun dato allarmante emerge dalle analisi effettuate dall’Arpac (ente regionale di monitoraggio ambientale) sulla qualità dell’aria in Contrada Cesine, a San Giorgio del Sannio, a seguito dell’incendio del capannone “Cash and carry” dei fratelli Barletta avvenuto il 23 maggio e durato 60 ore. E’ il direttore della struttura, Vincenzo Mataluni, a confermarlo in un’intervista al Quaderno.it. Ora bisogna solo attendere l’esito delle analisi del suolo, realizzate dall’Ente il 29 luglio, per verificare la presenza di eventuali diossine.

I risultati, assicura Mataluni, saranno pronti per la metà di settembre. Le notizie emergono a pochi giorni dalla pubblicazione del dossier dell’associazione “Altrabenevento” che ha denunciato, con le parole del presidente Gabriele Corona, irresponsabilità e ritardi nella gestione del sito e un’inadempienza del responsabile della struttura in merito al piano di controllo per la contaminazione ambientale. Rosanna Carpentieri, un’abitante del posto, ha fatto scoppiare il caso, sollevandolo all’opinione pubblica, per il pericolo di un’emergenza sanitaria. I Vigili del Fuoco e i carabinieri, intervenuti sul posto il giorno dell’incendio, parlarono di corto circuito delle celle frigorifere come probabile causa dell’accaduto. (Guarda la FOTOGALLERY dell’incendio)

Nessuna sostanza nociva nell’aria – Le indagini sono state effettuate dall’Arpac per tutte le tre matrici di riferimento: aria, acqua e suolo. Lo sottolinea Mataluni che ha spiegato l’iter dei rilievi durante questi mesi. Il giorno stesso dell’incidente sono stati posti dei rilevatori chiamati “campionatori passivi” per misurare l’inquinamento dell’aria per circa 2 giorni e mezzo. E’ emersa la presenza nell’atmosfera, soprattutto durante le ore dello spegnimento, di benzene e toluene: due inquinanti differenti tra loro. Il primo non viene fuori dalla combustione, il secondo, invece, è emerso col bruciare della plastica. Il benzene è spesso legato “all’inquinamento da carburante e forse riconducibile – secondo Mataluni – alla presenza di macchine operatrici sul posto. Una sostanza, presente nell’aria quando c’è molto traffico, nociva per l’uomo solo in caso di esposizione prolungata nel tempo”. In base alle leggi ambientali vigenti c’è stato un piccolo sforamento del parametro della sostanza. “Non è da considerare allarmante questa misurazione – ha aggiunto il responsabile dell’ente regionale – . Anche in altri casi, quando c’è un superamento del dato, vanno fatte operazioni per il rientro dei parametri senza alcuna urgenza o rischio di tossicità per la popolazione. E’ sostanzialmente una media annuale da non superare ai fini precauzionali.
Per quanto riguarda il toluene non ci sono riferimenti tabellari cui fare riferimento ai fini della tossicità, ma è compatibile con i materiali in fase di combustione” . L’Arpac, a distanza di due mesi, è tornata sul posto per rilevare nuovamente i parametri. I dispositivi sono stati installati l’8 luglio e ritirati l’11 agosto. In questo caso, però, non sono stati trovati gli stessi elementi nocivi registrati a maggio, quindi, nessun pericolo, secondo l’organismo di tutela ambientale campano.

Quel fetore nauseabondo… “La qualità dell’aria viene indagata soprattutto a seguito di quel nauseabondo fetore che i residenti lamentano. In realtà – per l’Arpac – la puzza non è legata necessariamente all’inquinamento. E’ soprattutto materiale organico in decomposizione, fattore molesto per la popolazione e in maniera specifica per la signora Carpentieri che abita a un passo dalla struttura”. A questo punto è stata allertata l’Asl di Benevento che deve utilizzare degli “abbattitori” che meccanicamente agganciano le particelle maleodoranti e le fanno precipitare al suolo. L’Azienda sanitaria non era stata presente alla Conferenza dei Servizi lo scorso 5 agosto, è intervenuta sul posto la settimana scorsa per decidere che tipo di sostanza utilizzare. Il dossier di Altrabenevento sottolinea, inoltre, un aspetto: la mancanza di controlli sanitari specifici per i residenti del posto e i lavoratori.

Contaminazione dell’acqua e del suolo – Quanto detto è relativo alla salubrità dell’aria. Ben diversa è la misurazione di eventuali contaminazioni di suolo e delle falde acquifere. L’incendio è stato spento dai Vigili del Fuoco con abbondanti litri d’acqua che, in molti casi, possono essere veicolo di inquinamento. “Il liquido è confluito nelle fogne tramite strade asfaltate impermeabili e difficilmente ha intaccato il sottosuolo – ha dichiarato Mataluni – . La contaminazione delle acque la escludiamo, ma per maggiore sicurezza faremo anche dei prelievi nel pozzo della famiglia Carpentieri”. Il suolo può essere contaminato, quindi, o attraverso il passaggio di acque inquinate o con la precipitazione di diossine, sostanze cancerogene. L’area interessata dall’attraversamento dei fumi dell’incendio è stata delimitata (Circa 100X100 metri) in funzione di alcuni rilievi ad hoc da parte dell’Arpac: “Attraverso procedure specifiche, effettuate sul posto, si ottiene un campione contenente una miscela di terreno prelevata in vari punti della zona colpita dall’incendio e, quindi, decisamente significativo per tutta l’area”. In caso di presenza di inquinante, verranno effettuate ulteriori operazioni, i primi risultati saranno resi noti dall’Arpac per la metà di settembre, per ora il campione è ancora in laboratorio.

Smaltimento di eventuali rifiuti tossici – Mataluni assicura, inoltre, un monitoraggio sullo smaltimento dei rifiuti prodotti dall’incendio. I materiali vanno caratterizzati e divisi per stabilirne l’eventuale pericolosità e non vanno mischiati. L’attività è totalmente a carico del proprietario del magazzino all’ingrosso (l’azienda “Barletta”, Ndr) ma verrà controllata dall’Arpac: “I materiali ferrosi sono stati rimossi e canalizzati verso un centro di raccolta specifico. La nostra preoccupazione è relativa alla messa in sicurezza degli altri rifiuti per evitare che producano danni. Abbiamo infatti controllato tutte le procedure per far giacere in maniera innocua le sostanze. Venerdi, abbiamo prescritto la copertura, con alcuni teli, e il confinamento del materiale organico per evitare una diretta esposizione alle acque piovane. L’operazione è stata portata a termine perfettamente”.

Il piano di indagine preliminare – C’è un punto su cui l’Arpac concorda, in parte, con Altrabenevento: la precedenza al piano di indagine preliminare finalizzato a indagare l’estensione della contaminazione, come detto, a carico del responsabile del sito. L’articolo 242 del Testo Unico per l’ambiente prevede di attuarlo non appena si verifica l’emergenza: entro 24 ore bisogna mettere in atto le misure di prevenzione e darne comunicazione alle autorità competenti. “La prima procedura che avrebbero dovuto compiere, quindi, è la messa in sicurezza degli agenti inquinanti – ha concluso Mataluni – . Ma non è stata realizzata immediatamente dopo il 2 luglio (prima di quella data non sarebbero potuti intervenire perché il sito risultava sottoposto a sequestro giudiziario, Ndr). Tuttavia, anche se l’azienda avesse portato a termine le analisi per la contaminazione, una semplice pioggia avrebbe reso fasulli quei dati. Infatti, credo sia giusto rimuovere prima le sostanze potenzialmente nocive per poi realizzare un piano”.
Lorenzo Palmieri

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Il commento di Altrabenevento.

Benevento, 26 agosto 2009

Il Direttore dell’ARPAC, Vincenzo Mataluni, riconosce che dopo l’incendio del capannone Barletta si dovevano effettuare subito gli esami per stabilire il livello di contaminazione e poi rimuovere i materiali bruciati e bonificare il sito, come previsto dall’art. 242 del Codice dell’Ambiente, ma così non è stato.
Mataluni, però, lo ammette solo dopo il Dossier di Altrabenevento e si limita ad attribuire le responsabilità della mancata applicazione delle norme di legge alla ditta proprietaria del capannone, senza spiegare perchè gli Enti preposti alla tutela della salute e dell’ambiente, ARPAC compresa, sono stati a guardare. Come abbiamo abbondantemente spiegato con il Dossier, lo stesso Codice dell’Ambiente dispone che il Comune, la Provincia, l’ARPAC, la ASL e la Regione controllano la corretta applicazione della legge ed in caso di inerzia del proprietario del sito, si sostituiscono ad esso per tutelare gli interessi pubblici prevalenti, cioè l’ambiente e la salute dei cittadini. Ma questo non è successo !
La ditta Barletta non ha fatto esami, ma perchè non sono stati imposti ? Perchè l’ARPAC rende noti i risultati dei suoi rilievi solo ora, dopo tre mesi ? E’ ovvio che oggi la qualità dell’aria non desta preoccupazione, ma allora, durante le 60 ore di incendio, che cosa hanno respirato gli abitanti della zona ? L’Arpac ammette che certamente sono stati riscontrati allora quantitativi eccessivi di Benzene e Toluene ma non dice in quali quantità. Mataluni sostiene che le acque di spegnimento non hanno prodotto inquinamento perchè sono immediatamente finite in fogna, ma questo non vuol dire nulla. Deve essere precisato, inaftti, che attraverso un tubo in PVC (tappato dopo il sopralluogo della DIGOS) l’acqua piena di inquinanti è finita in una cunetta di terra non impermeabile e che comunque la fogna esistente in zona, dopo alcune centinaia di metri sversa i liquami non depurati in un canale a cielo aperto che attraversa la campagna coltivata.
Il direttore dell’APAC non spiega perchè non sono state esaminate le acque del pozzo della famiglia Carpentieri e perchè non sono stati effettuati i prelievi di terreno vicino alla abitazione di quella famiglia per accertare la presenza di diossina.
Infine Mataluni, incredibilmente, sostiene che i materiali bruciati non devono essere mischiati per essere analizzati, ma invece, proprio venerdì scorso, a poche ore dalla conferenza stampa di Altrabenevento, una pala meccanica ha fatto una grande poltiglia dei materiali bruciati e li ha ammucchiati in cassoni scarrabili senza neppure utilizzare gli accorgimenti necessari per evitare altro fetore insopportabile. Ora che cosa sarà esaminato? E perchè si sono attesi tre mesi per “caratterizzare” i rifiuti se la legge imponeva di farlo entro 30 giorni?

Il presidente- Gabriele Corona

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